«Sapevo che dovevo spingere, mi veniva naturale, da dentro». E lo ha fatto tanto, guidata da un istinto primordiale, che il piccolo Francesco è venuto al mondo nel bagno di casa: forte e sano. 

A raccontare una nascita, travagliata nei modi ma non nel senso tecnico del termine, è mamma Monica Uccheddu, 31 anni.  Cresciuta in Lombardia, padre di Sant’Antioco, residente a Cassina Rizzardi (Como), legata a filo doppio all’amata Sardegna. 

Alla data fissata per il lieto evento, qualche giorno fa mancavano due settimane. «Eravamo tranquilli», racconta la ragazza, anche a nome del marito Daniele Villa: uomo che, come accade raramente, in questa vicenda non ha avuto il ruolo di spettatore passivo. «Così tranquilli che siamo andati al cinema per il suo quarantunesimo compleanno». In proiezione c’era “Il grande giorno”, di Aldo, Giovanni e Giacomo. Loro non hanno fatto in tempo a vedere il film, ma lo hanno vissuto, il grande giorno. 

«All’improvviso ho sentito una contrazione. Non sapevo bene cosa fosse, ma l’ho capito», prosegue la trentunenne, «abbiamo deciso di andare in ospedale. Ma non avevo la sacca con tutto il necessario. Così siamo passati a casa per prenderla. Dicono che il primo figlio ci mette tanto ad arrivare». Dicono, ma non sempre è così. 

Perché una volta nell’abitazione «non sono più riuscita a camminare. Le contrazioni sono diventate sempre più frequenti. All’improvviso sapevo cosa fare: spingere. Mi è venuto naturale». Monica era in bagno: «Alla prima spinta forte è uscita una sacchetta trasparente, non avevo idea di cosa fosse. Poi mio marito, che era lì davanti, ha detto “vedo la testa”. E ho spinto di nuovo». 

Ed ecco Francesco. «Ero seduta sul bidet», ride adesso Monica, «Daniele l’ha letteralmente preso al volo».

Il racconto va avanti con una leggerezza coinvolgente. In questi momenti che si fa? «Ce lo siamo chiesto. Il bambino ha subito pianto, aveva un bel colore. Abbiamo capito che stava bene. Solo che c’era il cordone, sangue, quel liquido». A un certo punto deve pur intervenire qualcuno che sappia come si agisce. In teoria, almeno: «Abbiamo telefonato al numero della sala parto che ci avevano lasciato. Abbiamo spiegato quello che era successo: l’operatrice che ci ha risposto non ci ha creduto. “Non si fanno questi scherzi”, ha detto. Beh, abbiamo deciso di chiudere con lei e abbiamo chiamato il 112». 

Il numero giusto: «L’operatore ha detto di coprire il bambino con un asciugamano e di avvicinarlo alla mia pancia, per fargli sentire il mio calore. Ci ha dato indicazioni rassicuranti. Intanto ha mandato un’ambulanza». 

E mamma e piccolo sono stati portati in ospedale: le analisi hanno rivelato valori perfetti. Un parto perfettamente riuscito. 

«Oggi siamo tornati ufficialmente a casa», conclude  Monica, «superato anche l’ittero». Che viene anche ai bimbi nati con tutti i comfort, in ospedale. Francesco, con i suoi genitori, ovvio, hanno superato anche questa prova. 

Enrico Fresu

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