Il coraggio di Emma: «Agli uomini violenti bisogna dire addio»
La storia dell’artista, oggi novantenne, è stata raccontata in un documentario. «Ma in tanti anni non è cambiato nulla»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«In verità è cambiato poco: le donne le ammazzavano prima e continuano a ucciderle anche ora». Se non fosse che i due ictus ravvicinati le hanno rubato quasi totalmente mobilità e lasciato agli occhi solo le ombre, probabilmente la si vedrebbe in piazza, in una delle tante iniziative organizzate in questi giorni. Racconterebbe la sua storia, più pesante delle tante panchine rosse diventate simbolo di una battaglia sempre aperta; più concreta di tanti convegni infarciti di retorica e slogan tirati regolarmente fuori ogni 25 novembre. Una storia fatta di coraggio, di resilienza e maltrattamenti - subiti prima dal padre e poi dal marito -, in tempi i cui non esistevano sportelli d’ascolto, associazioni di settore e centralini a cui chiedere aiuto. Così Emma Pucci, fisarmonicista oggi novantenne, scappata due volte dalla furia degli uomini (la prima quando era una bambina), diventa un simbolo.
La prima aggressione?
«Ero bambina. Papà mi prendeva a colpi di zirogna, sulla nuca, sino a farmi svenire. Diceva che mi avrebbe ammazzato come un coniglio, mentre mi tirava per i capelli».
Perché la picchiava?
«Amavo la musica, la fisarmonica. Cose da maschi, si figuri lo scandalo per quei tempi. Le femmine dovevano pensare alla casa, lavare piatti e pavimenti. Papà non voleva neanche che tenessi i capelli sciolti e li acconciassi alla Alida Valli».
E sua madre?
«Mamma stava zitta in un angolo, così facevano le donne. Non mi ha mai difeso, alla fine ho dovuto farlo da sola».
Cosa ha fatto?
«Sono scappata da casa, era l’unico modo per salvarmi. A quei tempi ero a Isili, ho raggiunto Cagliari e chiesto protezione alle suore, che mi hanno accolta. Quando papà venne a prendermi con i carabinieri hanno fatto da garanti, visti i soprusi che subivo».
L’ha perdonato?
«Sono credente, ma le violenze non si possono e non si devono perdonare. Il corpo guarisce, ma nell’animo restano cicatrici enormi che non vanno via».
Da adulta ha trovato nuova violenza.
«Sì, durante una gita conobbi un giovane, un carabiniere, ci siamo innamorati e sposati. Mi ha dato tre figli meravigliosi e anche parecchie botte, forse era geloso, non so, non gli ho mai chiesto perché lo facesse. Sono fuggita anche da lui».
Con tre bambini piccoli?
«Sì, e le assicuro che non è stato facile: non avevamo nulla, mi sono rimboccata le maniche un’altra volta facendo anche i lavori più umili. Hanno studiato e si sono tutti sistemati».
Mai pensato che il “problema” fosse lei?
«Ci provano sempre ad addossarti le colpe. Io forse ero diversa dalle altre ragazzine, ribelle perché suonavo la fisarmonica anche di nascosto. Ma la violenza non ha mai giustificazioni».
In novant’anni cos’è cambiato?
«Poco, purtroppo. Lei che è giornalista sa meglio di me che quasi ogni giorno uccidono una donna. Se ne parla di più, ma non basta».
In che senso?
«Servono tutele, leggi severe e qualcuno che le faccia applicare davvero. Perché con le parole mica le salvi le donne vittime di violenza».
Si rivolga alle donne...
«Non devono accettare la violenza e fuggire immediatamente dopo il primo segnale. Perché nessun uomo ha il diritto di decidere della nostra vita e di ferirci nel corpo e nell’animo».
La storia di Emma Pucci è diventata un documentario, su volere di Benito Urgu e grazie al lavoro della regista Viola Ledda. La senatrice Sabrina Licheri l’ha inserito tra le iniziative di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne e giovedì è stato presentato in Senato.