"Pronto?".

"Sì?".

"È caduto un Dc9 lungo la rotta che porta da Bologna-Palermo".

"A lei chi gliel'ha detto che è caduto?".

"Guardi, questo qui doveva atterrare già alle 9.13 su Palermo".

"Ma chi gliel'ha detto che è caduto? "Io penso che sia caduto".

È la telefonata drammatica qualche minuto prima delle 21.30 del 27 giugno 1980 tra Giovanni Smelzo, tenente del soccorso aeronautico di Martina Franca (Puglia), che si accorge dell'incidente, e il maresciallo Antonio Berardi, di turno allo Stato maggiore di Roma. Sono le prime battute della cronaca di una tragedia aerea, ma soprattutto è il primo mattone di quello che si trasformerà in un "muro di gomma" che da quarant'anni agita il sonno degli italiani. Ustica: mistero infinito, ottantuno vittime senza colpevoli, una compagnia aerea privata - Itavia - sopraffatta dalle conseguenze del disastro nel mare a nord della Sicilia. Mille verità, i numerosi filoni di inchiesta, processi, sentenze, morti (di testimoni) sospette, un fiume di informazioni senza controllo. Fino alla conclusione più amara: non c'è alcuna certezza giudiziaria su quello che è successo al volo IH870 sulla rotta Bologna-Palermo in quella sera chiara di inizio estate del 1980.

MISTERO D'ITALIA Quarant'anni non sono bastati per accendere una luce definitiva sulle cause della sciagura che ha condannato a morte tutti gli occupanti (77 passeggeri e 4 componenti dell'equipaggio) dell'aereo scomparso durante il passaggio sul Tirreno tra le isole di Ponza e Ustica. Venti e cinquantanove (e quarantacinque secondi) è il momento esatto in cui il Dc9 Douglas sparisce dai controlli radar, da ogni tracciamento. La mattina dopo l'equipaggio di un elicottero dell'Aeronautica intravede prima i rottami dell'aereo, poi alcuni corpi galleggianti. È l'inizio di un mistero fitto, di un giallo che attraversa quarant'anni di storia italiana tra omissioni, insabbiamenti, incidenti, registri scomparsi, tracciamenti radar cancellati, senza mai il traguardo di una verità limpida.

La prima pagina de L'Unione Sarda del 29 giugno 1980 (Archivio L'Unione Sarda)
La prima pagina de L'Unione Sarda del 29 giugno 1980 (Archivio L'Unione Sarda)
La prima pagina de L'Unione Sarda del 29 giugno 1980 (Archivio L'Unione Sarda)

BATTAGLIA AEREA Tante le ipotesi accreditate nel tempo: dalla bomba a bordo, al cedimento strutturale, all'esplosione in volo. Fino a quello che diventa l'unico percorso possibile: il volo IH870 finisce in mezzo a una battaglia aerea tra caccia della Nato, verosimilmente americani e francesi, e Mig libici (proprio un Mig verrà trovato distrutto, qualche giorno dopo, sui monti della Sila), forse di scorta a una missione sul Mediterraneo del potentissimo dittatore di Tripoli Mu'Ammar Gheddafi. Il velo si è alzato solo negli ultimi anni: sarebbe partito da un mezzo della Nato il missile che ha centrato l'aereo dell'Itavia. Ma la verità non arriverà mai a conclusione certa neanche dopo un'infinità di processi. Nessuna condanna penale decisiva, soltanto un piano di risarcimento per i familiari delle vittime e per la compagnia naufragata tra i debiti dopo l'incidente di Ustica.

"ASSENZA DI LOGICA" L'elemento inquietante è che da subito la dinamica del disastro fa emergere dubbi tra gli investigatori, tanto che già i giornali del 29 giugno riportano indiscrezioni sull'ipotesi di una presenza militare nel Mediterraneo la sera del 27. L'Unione Sarda parla di "assenza di logica" risultante dai primi elementi sulla sciagura, tanto che "si è pensato alla collisione con un aereo militare perché nel Tirreno era in corso un'esercitazione combinata aeronavale". L'Aeronautica si affretta ad allontanare ogni sospetto, smentendo l'ipotesi di esercitazioni militari, ma il concetto di "giallo" affiora dalle prime cronache, attorcigliandosi sempre di più col passare delle settimane, dei mesi, degli anni.

INCHIESTA INFINITA Dopo quasi vent'anni di indagini, l'ultimo giudice istruttore d'Italia (nel frattempo è già cambiato anche il processo penale) Rosario Priore - che pure chiede il rinvio a giudizio di quattro generali dell'Aeronautica - arriva a una conclusione inquietante: "C'è un progetto - non è più possibile affermare il contrario né chiamarlo in altro modo - che prevedeva la sistematica distruzione di ogni prova dei prodromi e del seguito del fatto, e che ha avuto un altrettanto sistematica attuazione. In ogni sito dell'Aeronautica militare questo progetto è stato quasi alla perfezione adempiuto".

"UN AEREO FRANCESE" E' il sassarese Francesco Cossiga - nel 2007 - a rilanciare la tesi delle azioni militari nel Mediterraneo: "C'era un aereo francese che si mise sotto il Dc9 Itavia e lanciò un missile per sbaglio", rivela il presidente emerito della Repubblica, capo del Governo al tempo della tragedia. "Ma il mio non è un grande contributo alla storia, ho solo raccontato quello che sapevo". Una linea - quella dell'incidente provocato da un missile - che viene ricalcata nell'unica vera sentenza complessiva per i fatti di Ustica, quando la Cassazione conferma la condanna civile nei confronti dei ministeri della Difesa e dei Trasporti per il risarcimento a favore dei familiari delle vittime. IL TESTIMONE SARDO IL maresciallo di Riola Mario Sardu - 28enne al tempo della tragedia, nonché responsabile del 35° Gram di Marsala, il centro di controllo del sistema radar che vigila sul mar Tirreno - nel 2014 conferma che la sera del volo Itavia Bologna-Palermo nei cieli italiani era in corso un'attività aerea militare: "C'era la classica situazione "friendly", cioè la presenza di velivoli amici". Uno scenario che indirettamente si ricollega alla possibilità che possa essere stato un caccia della Nato a far esplodere l'aereo civiile. Sardu non fa ipotesi su chi possa essere l'autore materiale del lancio del missile ma la sua versione rappresenta un'ulteriore tessera del mosaico che porta alla ricostruzione più verosimile di quanto sia successo il 27 giugno 1980.

Un aereo Dc9 Douglas della compagnia Itavia identico a quello precipitato a Ustica (Archivio L'Unione Sarda)
Un aereo Dc9 Douglas della compagnia Itavia identico a quello precipitato a Ustica (Archivio L'Unione Sarda)
Un aereo Dc9 Douglas della compagnia Itavia identico a quello precipitato a Ustica (Archivio L'Unione Sarda)

IL GIALLO DEL MARESCIALLO C'è un altro pezzo di Sardegna nel caso Ustica ed entra in scena con la forza di un giallo nel giallo: il maresciallo di Pattada Alberto Dettori - radarista a Poggio Ballone, nel Grossetano - è in servizio la sera della sciagura e resta scosso dalla vicenda. Morirà nel 1987 per suicidio, lasciando molti dubbi tra i familiari, anche per via di alcune sue frasi sinistre sulla strage di Ustica: "Si è sfiorata la terza guerra mondiale. E' successo un casino, vanno tutti in galera. Ho paura". In circostanze misteriose, o quanto meno non chiare, sono morte negli anni altre dodici persone riconducibili in qualche modo ai fatti di Ustica. Una concatenazione di eventi che contribuisce a gettare altre ombre su uno dei più grandi misteri italiani.

NESSUNA VERITÀ Dal punto di vista penale i vari procedimenti giudiziari portano solo a condanne secondarie. Non si arriverà mai alla verità assoluta: nessun documento certifica cosa sia successo davvero la sera del 27 giugno, c'è solo la consapevolezza di un'infinita serie di depistaggi e omissioni sulla presenza dei caccia della Nato nei cieli del Tirreno. Alla fine i quattro generali finiti alla sbarra per alto tradimento sono stati assolti.

"TRAGEDIA INDELEBILE" L'associazione dei parenti delle vittime ha ottenuto dopo oltre trent'anni un adeguato risarcimento economico ma il senso di ingiustizia e impotenza davanti a quello che è successo al volo IH870 resterà per sempre scolpito nelle pagine più buie della storia d'Italia. "È una tragedia indelebile nella memoria e nella coscienza della nostra comunità nazionale", ricorda il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. "Confermo il costante impegno per la ricostruzione univoca delle circostanze in cui persero la vita tanti nostri concittadini. Devono guidarci in questo l'affermazione delle ragioni della verità e dello stato di diritto".
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