Incidente frontale con tre feriti. Uno, il più grave, viene subito preso in carico dai soccorritori del 118 e trasportato in ospedale. Un altro ha qualche contusione e non ha bisogno del trasferimento al pronto soccorso. Il terzo riporta alcune fratture, ha dolori lancinanti. Ma dovrà aspettare circa un'ora (almeno) dentro l'abitacolo: non ci sono ambulanze per aiutarlo. Il fatto risale alla sera di mercoledì 11 ottobre, a Cagliari. Non è stato un inconveniente isolato. Quell'automobilista sofferente è il risultato di un sistema di emergenza-urgenza che arranca in tutta la Sardegna. Lo dice anche l'Areus, l'agenzia regionale che gestisce il soccorso nell'Isola: certi problemi stanno diventando patologie «croniche».

Le cause? Varie. E difficili da affrontare. Chi lavora sul campo parla di carenza di personale – medici e infermieri – che porta al blocco delle ambulanze fuori dai pronto soccorso, di insufficiente numero di mezzi sul territorio (mancano le medicalizzate, soprattutto), di reparti che non accolgono i pazienti, così costretti a stare sulle barelle che non tornano indietro (e a volte spariscono). E, ancora, c'è «l'assenza di medici di famiglia e di guardie mediche, che non fanno più da filtro verso gli ospedali».

Strutture sanitarie che a Cagliari, per esempio, «si sono ridotte con la chiusura del Marino, che non accetta più urgenze», spiega Antonio Anedda, medico del 118 e rappresentante della Fismu (Federazione italiana sindacale dei medici uniti). Le postazioni di soccorso avanzato in Sardegna, quindi con medico e infermiere a bordo, «sono appena 24, le stesse del 1999. Per capirci: a Cagliari sono solo due».

Enrico Fresu

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