Non chiamatelo posto di lavoro. Per raggiungerlo lasciate perdere le indicazioni stradali. Quando vi state avvicinando all’area industriale di Villacidro, quella che fu della Snia e della Scaini, quella delle mille lotte operaie sulle torri di scarico nel cielo del Monte Linas, fatevi guidare dagli schiaffi violenti di un tanfo tanto nauseabondo quanto insopportabile che traccia la strada meglio di qualsiasi cartello stradale. Villacidro, terra di arance e pesche, contatto estremo con i confini di San Gavino, periferia di un cimitero di capannoni industriali che segnano un’epopea consumata tra ruberie di Stato e inquinamento senza ritegno.

Il tramonto della sera

Qui, da tempo, le industrie hanno cessato i tre turni da catena di montaggio. L’ultimo turno di notte, in questo silenzio rotto solo dallo stridolio delle pale rotanti, schiaffate a ridosso del rio Leni, si consuma nella “Guantamano” di Villacidro. Telecamere sparate in ogni intersezione come se temessero che qualcuno volesse attentare a quei cumuli di immondizia, tutti degni di una dichiarazione di guerra all’olfatto di comunità intere. Teleobiettivi ovunque, tranne che all’interno di questi capannoni preclusi ad ogni sguardo indiscreto. Le ventidue non sono ancora scoccate. E’ la notte del 4 luglio. Il piazzale è deserto. Ci sono tre sole macchine. Una, però, tra le 22.00 e le 22.05 lascia il piazzale antistante della Villaservice, l’impianto di recupero, trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani, quello che raccoglie i rifiuti dell’intera zona. Restano due soli lavoratori, uno abbandonato a sé stesso in un capannone da duemila metri quadrati nell’impianto di compostaggio e l’altro nel versante opposto, in un altro capannone, quello della raffinazione. Il calendario gregoriano anche a Villacidro segna il 2021, ma quando lasci quel tanfo aggressivo disperso nel vuoto dell’aria aperta, per entrare in quel capannone maledetto, sai che la macchina del tempo ti trascina di peso nell’era degli schiavi, quando al posto del lavoro c’era lo sfruttamento.

Tra gli ìnferi

Lo sapevano e lo dicevano tutti: noi non andiamo a lavoro, lì entriamo, dritti dritti, senza bussare, nell’inferno. Detto così può sembrare retorica, toccato con mano, invece, è semplicemente riduttivo. L’aria è impercettibile, nel senso che è sparita, allontanata a spinte da un tripudio di ammoniaca e diossine di ogni genere. Gas allo stadio di vapore, come se non ci fosse un domani. La visibilità, con il caldo estivo, è una fermentazione di rifiuti che rende l’orizzonte, racchiuso tra le mura di quel mausoleo in cemento armato prefabbricato, una sorta di pianura Padana, puzzolente, senza tregua e senza vista. Chiunque osi avvicinarsi a quel portale di fetore e esalazioni non troverà di certo un luogo di lavoro. Gli impianti per il trattamento dei rifiuti di Villaservice appartengono più agli ìnferi che agli umani.

Impossibile nel 2021

Quando gli occhi riescono ad immortalare quel cumulo di rifiuti indiscriminato, anche 100 tonnellate al giorno, la sensazione è esattamente quella dell’impossibile. Impossibile che nel 2021 si possa ancora lavorare in un luogo senza alcuna sicurezza, con i parametri di salubrità sul posto di lavoro affidati spaventosamente al miracolo. Nel senso che solo un miracolo può salvarti. L’ultimo caffè in quella notte nefasta Ignazio Sessini, la giovane vittima di quella tragedia immane che ha funestato Villacidro e non solo, lo consuma poco dopo mezzanotte. Si incontra con un collega che sta da tutt’altra parte, nel capannone della raffinazione del prodotto. La cordialità dell’incontro è la consuetudine. Il ritorno in trincea non ammette tregua. Sino alle tre e mezza, piena notte, quando il collega lo comincia a cercare. Per radio e per telefono. Nessuna risposta. Silenzio assoluto. Non si pensa minimamente al peggio. Lo immaginano stanco e in pausa, dopo aver praticamente finito il carico di lavoro. Invece non lo trovano da nessuna parte.

Il mostro

Poco prima delle 6 del mattino, una volta dato l’allarme, sono i carabinieri a traguardare dentro gli oblò frontali di quel mostro che tecnicamente qui tutti chiamano “tritomiscelatore”. Le immagini confuse e in movimento di quelle lame elicoidali sconvolgono per l’eternità chiunque abbia osato guardare all’interno di quel macchinario. Per Ignazio Sessini, il dipendente preciso, schietto, pignolo e “rompiscatole”, non c’è stato niente da fare. Niente. In un attimo varcano quel portale di tanfo e tragedia gli uomini delle forze dell’ordine, magistrati e responsabili della sicurezza, quelli dello Spresal, l’ufficio ispettivo della locale azienda sanitaria. Misurano, verificano, controllano. Sequestrano il macchinario maledetto, lo circondano di nastro rosso e bianco, ma il resto resiste. Le immagini inedite che pubblichiamo per dovere di cronaca sono drammatiche e lasciano il segno. Sarà la magistratura a fare il suo corso. Saranno i giudici a stabilire le cause e le responsabilità su questa immane tragedia.

La cajenna resta aperta

Di certo resta inesplorato un quesito dirompente. Quell’inferno di Villaservice è davvero un posto di lavoro con tutti i requisiti di sicurezza necessari per garantire salubrità e protezione per i lavoratori? C’è davvero qualcuno che possa giurare che quelle nubi tossiche dentro quei capannoni siano prodotti benefici per la salute dei lavoratori? Un dato è inconfutabile, quegli impianti non rispettano in alcun modo il processo produttivo prestabilito. Il selezionatore dei rifiuti, passaggio fondamentale della catena di trattamento, è stato chiuso a luglio dello scorso anno, il nastro trasportatore che doveva collegare le due aree non è quasi mai entrato in funzione, nel capannone del compostaggio succede di tutto, con tanto di relazioni ristrette al minimo, giusto per non avvallare oltre misura la realtà.

I misteri

Restano due interrogativi. Ignazio Sessini, raccontano i colleghi, scriveva tutto: lettere manoscritte sulla sicurezza indirizzate sistematicamente ai vertici della società e soprattutto aveva “la cattiva” abitudine di annotare ogni disfunzione nei suoi personalissimi “giornalini di giornata”. Che fine hanno fatto quei quaderni di viaggio e quelle lettere sull’inferno degli impianti della Villaservice? E, infine, per quale motivo, solo tre giorni dopo la tragedia, la Villaservice ha pubblicato una manifestazione d’interesse per affidare i lavori di ripristino delle biocelle e delle celle di maturazione dell’impianto di compostaggio, lo stesso luogo della tragedia? Ieri, notte, nel parcheggio degli impianti a Villacidro, c’era parcheggiata una sola macchina. Sempre un solo operaio per notte. Come quella notte buia e nefasta nell’inferno di Villaservice.

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