Il caldo è infernale nel deserto di Zekreet. L’appuntamento per la mattina del 30 maggio scorso è a sud ovest di Doha, la capitale d’oro, nel vero senso della parola, di quello che, solo ufficialmente, è lo Stato del Qatar. In realtà quella che governa questo enclave del Golfo Persico è una vera e propria monarchia ereditaria, quella degli Al Thani, quelli del Mater Olbia, della Qatar Airways e della “fallita” Air Italy, quelli degli alberghi della Costa Smeralda. Nei salotti buoni, quelli sfarzosi degli emiri, in quella penisoletta tutto petrolio e gas, c’è la fila per accomodarsi. Dall’Italia, da anni, la rincorsa per un invito a corte è tale che molto spesso si corre il rischio che ministri, ambasciatori, amministratori delegati e alte cariche del Bel Paese si incastrino nella porta d’ingresso del Palazzo del Principe nel cuore storico di Doha. Qui l’immensità della sabbia giallo-rossa non ha le sinuosità dell’entroterra, piuttosto è una pianura infinita, senza orizzonte, scaldata all’inverosimile dai raggi dello stesso sole che sorge a Decimomannu. L’appuntamento, i piloti dell’Air Force del Qatar, se lo sono dati per le 9 del mattino sulle piste desertiche della base aerea militare di Al Udeid.

Missione segreta

La missione è segreta. Non dietro l’angolo. Da attraversare sulle ali di due imponenti giganti dei cieli ci sono deserti e mari, la bellezza di 4.226 km da sorvolare ad una quota che va ben oltre i diecimila metri. La base aeronautica nel sud ovest di Doha non è semplicemente un aeroporto dedicato all’Air Force del Qatar. In questo “tassello di guerra” in mezzo a cammelli e deserti c’è molto di più. A partire dal quartier generale del Comando Centrale Avanzato degli Stati Uniti con la United States Air Force sono numerosi gli Stati che fanno base bellica in quel compound adagiato sul deserto.

Yenkee nel deserto

Da quando l’Emiro del Qatar, lo sceicco Hamad, espresse il desiderio di vedere in quella base non meno di 10.000 militari statunitensi di stanza permanente ad Al Udeid, gli americani non si sono fatti pregare. Sulla pista ci sono due colossi dell’aria, i McDonnell Douglas/Boeing C-17 Globemaster III, i più grandi aerei da trasporto militare sviluppati per la United States Air Force. Solo loro e nessun altro sono a conoscenza della destinazione. Non c’è nessun radar civile in grado di intercettarli e decodificarne la missione. Il decollo del primo, codice LHOB241, è per le 10.02 del 30 maggio 2022. Ventuno minuti dopo è la volta del secondo cargo militare, sigla di volo LHOB250. Il primo sorvolerà Cagliari sei ore dopo il decollo. Il secondo a ruota. L’atterraggio nella base aerea di Decimomannu è in sequenza: il primo alle 15 e 15, il secondo alle 15.34. Un dato è certo, impossibile pensare ad un viaggio di piacere. Non foss’altro per la capacità di carico dei due giganti: 77.519 kg per ciascuno. A bordo, però, ci possono stare anche 102 paracadutisti o 134 uomini di truppa con sedili pallettizzati e laterali, oppure un carro armato M1, due veicoli corazzati Bradley o tre veicoli Stryker.

Toccata e fuga

Difficile, molto difficile che siano arrivati qui, in terra sarda, per scaricare uomini e carri armati, nonostante gli accordi senza fine tra lo Stato italiano, i venditori di armi e di morte, e gli emiri del Qatar. Unica certezza è che quei due aerei hanno fatto una vera e propria toccata e fuga in terra sarda. Non una sosta tecnica, ma una vera e propria missione segreta. Quei due colossi, 53 metri di lunghezza, 51 di apertura alare e più di 16 metri di altezza, quasi un palazzo da 6 piani, infatti, sono ripartiti nemmeno 24 ore dopo e sono tornati direttamente da dove erano partiti, nel deserto di Doha.

24 ore di buio

Dai tabulati riservati del volo emerge un dato, hanno impiegato a rientrare 40 minuti in meno dell’andata. Il primo è partito alle 16.31 ed è arrivato alle 23.00, (Ora Standard Araba), in pratica, secondo il report interno, 5 ore e 32 minuti di volo. Il secondo è decollato da Decimomannu alle 16.46 e ha toccato pista a Doha alle 23 e 18, 5 ore e 29 minuti dopo. Quei quaranta minuti di differenza possono essere legati a più fattori: sono arrivati carichi e sono tornati vuoti, hanno cambiato rotta, oppure le condizioni meteo erano più favorevoli. Un dato è inconfutabile, tra il 30 e il 31 maggio nell’aeroporto di Decimomannu si è consumata una missione che doveva restare segreta, criptata e probabilmente funzionale ad una partita che vede il Qatar supporto esterno del sistema americano occidentale. Missione, non è da escludere, per spostare le armi americane inviate segretamente in Occidente. C’è un però, da analizzare: il grande traffico di armi che dall’Italia si sta riversando proprio a favore degli emiri del Qatar. Un mercato sempre più fiorente, copioso, un fiume bellico senza precedenti, con le industrie d’armi italiane che stanno rimpinguando senza sosta i propri bilanci con i petroldollari del Qatar.

Emiri & affari

Da emiri collaterali al finanziamento dei peggiori terroristi nemici dell’Occidente, come sono stati sempre considerati, a partner strategici e militari il passo è stato breve, giusto una caterva di bonifici miliardari a favore delle industrie belliche del Bel Paese. Sembra difficile, ma non si può escludere che la Sardegna, in particolare la base aerea inviolabile di Decimomannu, possa essere stata scelta come piattaforma di carico per una valanga di armi private e di Stato verso il Qatar, così come va presa in seria considerazione un’operazione tutta sarda, con il coinvolgimento di una base aerea statale per il trasbordo di armi prodotte e commercializzate proprio nell’Isola. Secondo i ben informati nei cieli tra Doha e Decimomannu potrebbe consumarsi sino in fondo un’operazione sottotraccia che riguarderebbe una triangolazione italo-sardo-tedesca-qatariota.

Bilanci bellici

Non sfugge, infatti, che nei bilanci di una delle multinazionali tedesche di stanza in Sardegna si configura una moderna “triangolazione” tra Paesi per facilitare l’esportazione di armi. Nella Relazione governativa relativa al 2018 appare un’autorizzazione per 230.854.523 euro alla Rwm Italia per l’esportazione di un consistente lotto di munizionamento d’artiglieria: decine di migliaia di cartucce, colpi, spolette, cariche modulari, iniziatori. Il paese destinatario – secondo i report dell’Osservatorio sulle armi leggere e la Rete italiana per il disarmo - risulta sconosciuto ma, passato un anno, nel documento redatto dal Tesoro si scopre un’operazione bancaria con il Qatar attribuibile alla Rwm Italia: un «anticipo contrattuale del valore di 57.713.630 euro, esattamente un quarto del valore dell’autorizzazione precedente. Nel 2019 la Relazione riporta un’altra operazione rilasciata a Rwm Italia (valore 83.615.927 euro per un numero imprecisato di colpi attivi) classificata come «intermediazione» che – secondo quanto spiega il governo – riguarderebbe operazioni «estero su estero». Tutti contratti sotto osservazione dopo che sotto indagine sono finiti i vertici dell’Unità del Ministero degli Esteri delegati al controllo del mercato delle armi.

Sardegna testa di ponte

Il rischio è che l’Italia, e in questo caso la Sardegna, stiano diventando una testa di ponte per armare ancora di più il mondo arabo. Alla faccia della pace nel mondo evocata a gran voce anche nel giorno più retorico della Repubblica. I “petrodollari” nel Bel Paese delle armi, si sa, fanno la differenza. L’Isola dei Nuraghi, intanto, è sempre più crocevia di armi e di giochi di guerra.

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