La quarantena non è uguale per tutti.

Per averne certezza basta fare un giro nei quartieri popolari di Cagliari, da Sant'Elia a San Michele, dove c'è chi divide trentacinque metri quadri con altre sei persone. Una prigione ristretta, che a conti fatti si traduce in cinque metri a testa: pochi anche solo per respirare.

"Veda lei se è uguale agli altri rioni oppure no", taglia corto un uomo sulla cinquantina affacciato da un balcone al secondo piano in piazza Medaglia Miracolosa.

Un pezzetto di San Michele a forma di cerchio dove oggi non risplende neanche il sole e sembra si giochi al ribasso. "Sono cresciuto in via Podgora, dieci figli, più mamma e papà" racconta Claudio, 48 anni. Le testimonianze della quarantena ristretta arrivano dai piani alti, in quelli bassi ci sono cumuli d'immondizia, sempre lì, quasi a testimoniare i tempi migliori che sicuramente sono quelli che verranno. Una sorta di continuità col passato che regala un senso - spiacevole - di normalità.

Come il maxi murales che ricorda William Corona, il sedicenne morto il 26 luglio di due anni fa, dopo un terribile schianto lungo la 554. "Sei la parte migliore di tutto il peggiore", si legge al centro, sullo sfondo stellato.

E il peggiore forse è ciò che la gente racconta dalle finestre dei rioni dimenticati da Dio, come a Sant'Elia, dove le piccole celle incastrate nei palazzoni alti che sembrano spezzare il cielo si trasformano in confessionali laici che danno voce ai disagi.

Case piccole, famiglie numerose e il lavoro che non c'è. Anche quello da abusivi, come Antonello, che vendeva frutta e verdura nel quartiere e ora è fermo. Come tutto il resto. Tranne le difficoltà, che aumentano e si sommano alle solite, arrivate prima del virus e amplificate da spazi ristretti dove la quarantena è una doppia prigionia.
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