Intervista

«Io in cella da innocente, su Soffiantini mi incastrarono» 

Giovanni Farina: il sistema carcerario in Italia non funziona, da ragazzo volevo diventare un pastore 

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«Mi hanno rubato la vita. La verità è che mi hanno voluto mettere in galera». Il concetto della giustizia è certamente personalissimo, se dopo quarant’anni di carcere, la metà circa trascorsa in 41bis e altri in latitanza tra Venezuela e Australia - dove venne fermato con una valigia piena di dollari -, si definisce vittima. Anche se il curriculum da criminale di peso suggerisce il contrario per Giovanni Farina, uno degli ultimi e più feroci protagonisti dell’Anonima sequestri. Che riporta a Tempio, dove nasce nel 1950, e poi si perde tra le montagne aspre della Calvana (parte toscana); aspre come lo era l’Isola negli anni in cui faceva parlare di sé più per il male che per tutto il resto. Pastore ed ex ergastolano, ha saldato il conto con la giustizia in anticipo, schivando il “fine pena mai” frutto della somma di vari reati e tre sequestri, anche quello dell’imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini, che nel 1997 fermò l’Italia e per il quale Farina continua a professarsi estraneo. Anche a Cagliari, prima dell’incontro organizzato nell’ex scuola Manno, occupata abusivamente.

Crede nella funzione rieducativa del carcere?

«Assolutamente no. Il carcere in Italia non funziona proprio, è costruito sulla repressione. T’incattivisce, e alla fine ne esci peggio di come sei quando entri».

A lei cosa ha insegnato?

«Niente. Se mi avesse insegnato qualcosa oggi sarei un delinquente».

Invece cos’è?

«Una persona particolare. Vengo dall’agropastorale, sono stato educato alla solidarietà, a credere nel prossimo e a non piegarmi né adeguarmi a logiche di potere».

Ha trascorso 21 anni in 41 bis: cosa le è mancato di più?

«La famiglia. È vergognoso, ma in Italia la prima cosa che fanno è allontanarti dagli affetti. E poi il cielo, le stelle. La vita».

Sequestro Soffiantini: si è sempre dichiarato innocente.

«Mi hanno tirato in ballo per il suo rapimento. Sono stato coinvolto ma lui stesso ha dichiarato nei vari processi che non ero il carceriere».

Però è stato in carcere anche per altri due sequestri: innocente anche in quei casi?

«Mi hanno coinvolto in tante cose ma non c’entravo niente».

Addirittura: si sente vittima di ingiustizia?

«Certo, mi hanno portato via la gioventù e poi la vecchiaia. E i giudici non si azzardino ora a dire che hanno sbagliato la procedura. L’hanno fatto di proposito: la verità è che mi avevano preso di mira».

Saviano ha detto che la Sardegna esporta criminalità: è d’accordo?

«Perché, c’è qualcuno che crede a queste stupidaggini?».

Come si diventa banditi?

«Bisognerebbe guardare alle radici. Mi hanno arrestato tre volte e altrettante sono uscito da innocente. Ma quando vieni calpestato, quando vengono a casa tua a disturbarti, se hai sangue nelle vene ti ribelli».

Ha qualche rimpianto?

«È inutile guardare il passato. Tanto non si torna indietro».

Rimorsi?

«Chi vive di rimorsi è un fallito. Bisogna sempre andare avanti».

L’ultima volta che ha pianto.

«Piango spesso, mi emoziono anche quando parlo della mia vita».

Ha mai avuto paura di morire in galera?

«La morte non mi spaventa e sono sempre stato convinto della mia innocenza. Sapevo che sarei uscito dal carcere e mi sono battuto per questo».

Criminale, scrittore e poeta: questa è la sua definizione su Wikipedia. Le piace?

«Insomma, toglierei criminale».

E cosa metterebbe?

«Sfortunato».

Non è che tutti finiscano al 41bis.

«Io so di non avere alcuna colpa. E l’ho dimostrato».

È credente?

«Ho una zia monaca di clausura e a casa mia la sera si recitava sempre il rosario. Poi la vita mi ha fatto allontanare da Dio».

Da bambino cosa sognava?

«Papà era pastore, volevo diventare come lui».

Oggi?

«Sogno di riuscire a lasciare un buon ricordo di me».

Deve chiedere scusa a qualcuno?

«No, a nessuno. In tanti hanno sofferto per ciò che è successo, ma so che hanno capito».

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