Il sequestro.

Il rapimento, gli ultimatum e la svolta. Poi i proiettili 

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Il 4 febbraio 2005 la giornalista Giuliana Sgrena fu sequestrata a Baghdad, da dove firmava i reportage per il Manifesto sulla situazione dell’Iraq, che da due anni viveva il caotico post Saddam. Sgrena fu rapita mentre passava nella zona universitaria per raggiungere la moschea di al-Mustafa e intervistare dei profughi di della città di Fallujah, dove secondo una sua inchiesta le truppe statunitensi usarono fosforo bianco nell’operazione Phantom Fury. Il sequestro durò un mese, durante il quale false voci di un’imminente liberazione si alternarono più volte agli ultimatum dei rapitori, che reiteravano l’ultimatum per il ritiro delle forze occidentali dal Paese. Tre giorni dopo il drammatico videomessaggio in cui la giornalista in mano ai sequestratori chiedeva il ritiro delle forze italiane dall’Iraq, a Roma manifestarono in 500mila per chiedere la sua liberazione. Appelli vennero rivolti anche dal governo francese e da Paesi della Lega araba.

Il 4 marzo, dopo una delicata opera di mediazione da parte dell’intelligence italiana, la giornalista venne rilasciata. A prenderla in carico fu il funzionario del Sismi Nicola Calipari. Quando la loro auto stava per raggiungere la meta, dopo aver superato numerosi posti di controllo, fu investita da una pioggia di proiettili sparati da forze americane.

Calipari si stese sulla giornalista per proteggerla e rimase ucciso da un proiettile che lo colpì alla testa. Sgrena fu ferita a una spalla, ferito, ma lievemente, anche il funzionario del Sismi che era alla guida. La versione americana fu che l’auto viaggiava a circa cento all’ora e l’autista aveva ignorato il posto di blocco. La ricostruzione appurata dagli inquirenti italiani, e sostenuta dalla giornalista, è che non c’era alcun posto di blocco ma un check-point mobile. Inoltre, dice Sgrena anche all’Unione Sarda, «eravamo praticamente fermi perché eravamo usciti da un sottopassaggio allagato, e quando si entrava in strada c’erano dei dispositivi per rallentare la velocità». Il soldato americano Mario Lozano fu rinviato a giudizio dalla gisutizia italiana per l’uccisione di Calipari, ma in seguito dichiarò la mancanza di giurisdizione dello Stato italiano sul caso»

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