Un anno esatto fa moriva a New York, 85enne, Philip Roth.

È stato uno dei più noti e premiati scrittori americani della sua generazione, oltre ad essere uno dei principali romanzieri ebrei.

Nato a Newark, nel New Jersey, nel 1933, fa il suo esordio narrativo con "Addio, Columbus e cinque racconti".

Ma il vero capolavoro lo tira fuori al suo quarto titolo: "Il lamento di Portnoy". Un paziente monologante sul lettino, in preda a una nevrosi a sfondo maniacalmente sessuale. Accusato di volgarità, soprattutto per gli espliciti riferimenti all'attività di masturbazione del protagonista, il libro ottiene un successo memorabile.

La sua produzione è molto ampia, sia a livello quantitativo che di contenuti: libri autobiografici, incentrati sul sesso e la sessualità, ma non solo. Anche satira politica, in "La nostra gang" ridicolizza chiaramente Richard Nixon. Particolarmente fortunata anche la saga che ha al centro la voce narrante di Nathan Zuckerman, suo alter ego che appare anche in uno dei suoi capolavori, "Pastorale Americana".

Ironizza spesso e volentieri anche sulll'ossessione anticomunista degli americani, e nel 1998 vince il Pulitzer.

La morte arriva per via di un'insufficienza cardiaca.

(Unioneonline/L)

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