Deborah ha tredici anni, un fratellino in arrivo, una bicicletta che sfreccia sulle strade di provincia. Ha poi degli amici con cui divide la scuola, il campo skate e un gioco incosciente vicino ai binari dove corrono i treni. La sfida è riuscire a tenere gli occhi aperti mentre lo spostamento d’aria arriva come uno schiaffo e lo sferragliare dei vagoni fa sparire tutto il resto. Solo uno svago, con cui si ingannano le ore di noia e si mostra al mondo e agli altri la propria spavalderia. Fino a che il gioco non diventa sfida…una sfida fin troppo pericolosa.

Una storia che graffia quella raccontata da Alice Keller nel suo nuovo romanzo Le cose che ho (Mondadori, 2020, pp. 216, anche e-book). Una storia in cui i protagonisti si accorgono di dover cominciare a fare i conti con la durezza della vita potendo contare su poche certezze, come ci conferma l'autrice del libro:

"Deborah ha un garbuglio di pensieri e sentimenti che non sempre riesce a sciogliere, ma può fermarsi, alcuni istanti, e pensare alle cose che ha: le cose nelle tasche, le cose nel paesaggio, le cose di casa. Piccoli punti di riferimento nello scorrere rapido della giornata".

Cosa impedisce a Deborah di uscire fuori da una sorta di circolo vizioso nei rapporti con i suoi amici...cosa le impedisce di dire basta a certe dinamiche fatalmente negative?

"Deborah è dentro le dinamiche, dentro le relazioni, dentro le sfide. Sente un’irrequietudine interiore, quella domanda che ci pungola e ci muove: sono nel mio posto? È il posto giusto per me? Qual è il mio posto? Ma al tempo stesso è nell’età dell’amicizia e dei primi amori. Una sfida può essere scomoda e angosciante e contemporaneamente la possibilità di stare spalla a spalla con un amico che ci fa battere il cuore".

Cosa non decolla nel rapporto tra la protagonista e i suoi genitori, in particolare con la madre?

"Deborah è una figlia adolescente che si trova sulla soglia dell’incontro con il suo cambiamento da bambina a ragazza ma anche da figlia a sorella, e contemporaneamente con il cambiamento di sua madre, che si sta preparando a diventare nuovamente mamma di un neonato. Non è tanto un rapporto che non decolla, quanto il trovarsi entrambe, madre e figlia, in due momenti molto speciali che hanno bisogno di un’attenzione particolare. Un’attenzione che non sempre si riesce a dare e ricevere. In questo la figura della nonna, con la sua presenza silenziosa e ferma, è un punto di calore che tiene insieme le anime e i diversi pezzi del puzzle".

Alla fine, c'è per Deborah speranza di lasciarsi alle spalle il passato?

"Sì, perché è nel pieno della sua età migliore, quella in cui i cambiamenti sono ancora possibili. L’adolescenza non è l’età difficile che tutti dipingiamo ai nostri ragazzi, è un’età d’oro da cui parte una cavalcata entusiasta e sognatrice verso l’età adulta, un’energia pura, scattante, capace di attraversare le ombre, passare dal bianco al nero con giravolte improvvise. È un’età che ha bisogno del giusto ascolto. E in questo la scrittura, la letteratura, le narrazioni cinematografiche possono scoprirsi compagni eccezionali per i ragazzi e le ragazze".
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