T empo fa si diceva, scherzando ma non troppo: i soldi si fanno a destra, la rivoluzione a sinistra. La grana anche allora si faceva a destra, a sinistra nonché al centro mentre le noiose rivoluzioni socialpolitiche sfiatavano nei gruppi intellettualoidi double face: cachemire ed eskimo innocente. Il soldo resta mezzo e fine, la rivoluzione un intermezzo infinito che gli inquilini del Palazzo traducono in riforme che, pensate per cambiare il mondo, finiscono per approdare con la potenza di un petardo ammuffito: un lampo, un fischio rispettoso dell'italico gattopardismo. Giorni fa il ministro Roberto Gualtieri annunciava la riforma delle aliquote Irpef per le persone fisiche, cioè la parte raspata ai lavoratori in cambio dei (dis)servizi. Tasse, insomma. Il ministro pensava al modello tedesco: una quota esente, quattro scaglioni e uno variabile agganciato al reddito. Sembrava fatta fino a che la sua maggioranza non ha travasato la proposta nel decanter per una democratica ossigenazione e una stellata meditazione. Gualtieri conosce bene i suoi, con i “saggi” di Prodi ha scritto il manifesto del Partito democratico, mica del Partito del Dopolavoro: salame, barbera e Francesco Gabbani, quello che canta “allora avanti popolo che spera in un miracolo elaboriamo il lutto con un Amen”.

ANTONIO MASALA
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