I ndro Montanelli era del parere che i monumenti sono fatti per essere abbattuti, tutti meno quello che Milano gli dedicò e che alcuni bravacci hanno minacciato di buttar giù dal piedistallo. Immagino il giornalista curvo sulla sua mitica Lettera 22 per ripulire i zozzoni che l'hanno imbrattato di rosso, colore che Indro faticava a sopportare anche al semaforo. In politica neppure a parlarne. Eppure a Montanelli anche il Pci ha riconosciuto il gran rigore nel denunciare il malcostume e la corruzione, la capacità di trasformare il disprezzo in aforisma e lo sdegno in ironia. Neppure Fortebraccio (Mario Melloni) autore della storica stoccata al segretario dei socialdemocratici (“Arrivò una berlina, si aprì la portiera, non scese nessuno: era Cariglia”) con Montanelli ebbe vita facile. Al giornalista dell'Unità che per la sua tomba dettò l'epitaffio (“Qui giace Fortebraccio che segretamente amò Indro Montanelli. Passante perdonalo perché non ha mai cessato di vergognarsene”), Indro replicò: “Devo avvertire Fortebraccio che ho preso le mie precauzioni iscrivendo tra le mie ultime volontà quella di essere sepolto accanto a lui e, come epitaffio: vedi lapide accanto”. Montanelli diceva di aver perso tutte le battaglie meno una: quella che si ingaggia tutte le mattine davanti allo specchio.

ANTONIO MASALA
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