Massimo Galli: "Graduale ripresa non prima della seconda metà di maggio"
Bisogna programmare il ritorno alla normalità, dice l'infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano: "Test rapidi, e i negativi ritornano al lavoro"Una graduale ripresa delle attività in Italia, ma "non prima della seconda metà di maggio".
L'infettivologo Massimo Galli, primario del Sacco di Milano e docente all'Università Statale, detta i modi (e i tempi del ritorno alla normalità in Italia).
"Programmare è necessario - sostiene - ma aprire troppo presto sarebbe un errore madornale".
Per Galli "è veramente importante cominciare a capire quante persone, avendo già contratto l'infezione e sono guarite, possono tornare alle loro normali attività proprio perché non è verosimile che possano essere reinfettate dal virus in tempi
brevi".
Posto che non è semplice trovare una strategia infallibile "perché non c'è un 'golden standard' che ci può dire 'si fa così'" la via percorribile, secondo lui, è quella di trovare "il giusto mix fra utilizzo dei tamponi e dei test rapidi e di procedere per gradi cominciando a valutare le persone chiamate per prime a rientrare al lavoro".
"Io suggerisco - spiega l'esperto - di operare sulle persone che devono rientrare una prima valutazione con i test rapidi degli anticorpi, per poi procedere con il tampone su quelli che hanno il test rapido positivo. Chi avesse anche il tampone positivo deve continuare la quarantena, gli altri a tampone negativo (discutendo se farne uno o due di verifica) potremmo considerarli 'guariti'. I negativi al test rapido vanno al lavoro. Tutti dovranno utilizzare misure di protezione e rispettare il distanziamento".
"Non riusciremo a processare centinaia di migliaia di tamponi che rischiano di essere anche ripetuti e di diventare milioni", continua. Incrociando le due modalità, test rapidi per selezionare chi sottoporre a tampone, "si facilita il ritorno al lavoro delle persone il più rapidamente possibile".
Questa la premessa per evitare nuove fiammate dell'epidemia di Covid-19: "Bisogna espandere il fronte della diagnostica che è rimasto al di sotto del necessario. Finora ci si è concentrati tanto sul dilatare il più possibile i posti di terapia intensiva come era indispensabile fare, ma non si è moltiplicata la linea della diagnostica come era altrettanto indispensabile fare nell'ottica di una ripresa vitale. Il primo pensiero è ovviamente salvare vite, ma se ne salvano ulteriori se si evita l'ulteriore diffusione" del virus Sars-CoV-2 "e quest'ultimo è uno dei compiti che si possono svolgere con una copertura diagnostica più ampia. Si salva anche il Paese se ci mettiamo nelle condizioni di riprendere e di farlo in sicurezza. Al momento non vedo altra strada".
(Unioneonline/D)