La verità sulla morte di Paolo Borsellino è sempre più vicina. La Corte d'assise d'appello di Caltanissetta ha scritto quello che potrebbe essere l'ultimo capitolo, se confermato dalla Cassazione, dell'intricata vicenda.

Smascherando i falsi pentiti e condannando boss mafiosi che per anni sono rimasti impuniti.

La sentenza conferma per filo e per segno quella di primo grado, che per la prima volta mise nero su bianco l'esistenza di un clamoroso depistaggio che inquinò non poco le indagini sull'attentato costato la vita al giudice e agli agenti della scorta, tra cui c'era anche la sarda Emanuela Loi.

Collaboratori di giustizia creati a tavolino per dare in pasto ai giudici e all'opinione pubblica una verità di comodo, costata condanne ingiuste a nove persone innocenti poi assolte.

Per la strage sono stati condannati all'ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino. Dieci anni per calunnia ai falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci.

Reato prescritto per il grande depistatore della vicenda, Vincenzo Scarantino, il picciotto della Guadagna minacciato, picchiato e costretto a mentire da Cosa Nostra. Lui è stato "salvato" dalle attenuanti.

La Procura di Caltanissetta ha sfaldato una ad una quelle false certezze, partendo dalle rivelazioni dell'ex boss pentito Gaspare Spatuzza.

Verità più vicina, dunque, ma c'è ancora tanto lavoro da fare. Il puzzle, a 27 anni da quell'eccidio, è ancora incompleto. Di chi era la regia del depistaggio? Erano coinvolte le istituzioni? La parte più complessa da ricostruire riguarda infatti il processo in corso a tre poliziotti che indagarono sull'attentato e, secondo l'accusa, avrebbero imbeccato Scarantino e gli altri due depistatori. Il procedimento è in corso e, tra un colpo di scena e l'altro, lascia intravedere un piano preciso che aveva come fine l'inquinamento delle indagini.

(Unioneonline/L)
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