Il Tar di Palermo ha accolto l’istanza cautelare depositata dal Governo Centrale e ha sospeso l’esecutività dell’Ordinanza del Governatore della Regione Sicilia, Nello Musumeci, che aveva previsto la chiusura degli hotspot e dei centri di accoglienza per migranti presenti sull’isola. Stando alle notizie riportate dai mezzi di informazione, la Camera di Consiglio, su decisione del Presidente della Terza Sezione Maria Cristina Quiligotti, si riunirà il 17 settembre prossimo. In buona sostanza - precisa il Tar - “le misure adottate con l’impugnato provvedimento sembr(erebbero) esorbitare dall’ambito dei poteri attribuiti alle Regioni” benché “disposte con la dichiarata finalità di tutela della salute in conseguenza del dilagare dell’epidemia da Covid-19 sul territorio regionale”. Inoltre, quelle stesse misure - aggiunge sempre il Tar adito - “involv(erebbero) e impatt(erebbero) in modo decisivo sull’organizzazione e la gestione del fenomeno migratorio nel territorio italiano” siccome “certamente idonee a produrre effetti rilevanti anche nelle altre regioni”. Ed infine – conclude il Tar – “l’esistenza di un concreto aggravamento del rischio sanitario legato alla diffusione del Covid-19 tra la popolazione locale, quale conseguenza del fenomeno migratorio, che, con il provvedimento impugnato, tra l’altro si intende (va) regolare, appar(irebbe) meramente enunciata”, non essendo stata “sorretta da un’adeguata e rigorosa istruttoria”.

L’epilogo della schermaglia era insomma annunciato, e altrimenti non avrebbe potuto essere. Che nello specifico frangente si trattasse di una Ordinanza rispondente ad una mera esigenza propagandistica di “condizionamento” ideologico privo di qualsivoglia fondamento era chiaro fin da principio, come del resto da più parti sostenuto. Stupisce piuttosto che il Governatore di una Regione “simbolo” dell’accoglienza, la quale quanto a cultura politica e giuridica davvero non ha rivali, abbia potuto avvalersi consapevolmente di uno strumento legislativo tanto invasivo (peraltro potenzialmente fallimentare sul piano giuridico in assenza di ulteriori e più approfonditi riscontri di carattere sanitario) unicamente per perseguire un obiettivo tipicamente politico/istituzionale diretto a rilanciare sulla scena una “questione sociale” di carattere strutturale fortemente asservita, nel passato recente, alla “reclame” populista padana e che l’emergenza sanitaria dei mesi appena trascorsi aveva inevitabilmente sommerso condannandola all’indifferenza generale. “We cannot forget migrants, we cannot forget undocumented workers, we cannot forget prisoners” (“non possiamo dimenticare i migranti, non possiamo dimenticare i lavoratori senza documenti, non possiamo dimenticare i detenuti”), giacché “the only way to beat (coronavirus) is to leave no one behind” (“l’unico modo per battere il coronavirus è non lasciare indietro nessuno”) aveva affermato con non poca preoccupazione il Direttore Esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Dr. Michael J Ryan.

Oggi, alla luce degli avvenimenti in discorso, questa esortazione quasi estemporanea riecheggia leggera, persa nel ricordo di una dimensione temporale staticizzata e ristagnante che ancora non ci abbandona, ma al cui insegnamento e al cui senso di temperanza non riusciamo proprio ad attingere continuando per ciò stesso ad inciampare sul filo sottile del fraintendimento ostracizzante che ci allontana, di conseguenza, dal corretto inquadramento di quelli che dovrebbero essere, in argomento, i tre differenti, quanto interdipendenti, piani di indagine comunque tra loro non sovrapponibili: quello sanitario, quello giuridico e quello squisitamente politico. Non può certamente revocarsi in dubbio, infatti, che i migranti, per evidenti ragioni pratiche, sono potenzialmente assoggettati al rischio di contrarre pericolose patologie per il fatto stesso di condividere la loro quotidianità in contesti sovraffollati caratterizzati il più delle volte da condizioni igienico-sanitarie carenti e per molti versi degradanti. Allo stesso modo, non può ancora revocarsi in dubbio che nella specifica materia in questione, come correttamente sostenuto sul piano teorico dal Governatore Musumeci, sebbene competa allo Stato in via esclusiva ogni decisione concernente la “condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea”, come pure ogni decisione inerente specificatamente la “immigrazione” (art. 117, comma 2, lett. a) e b), Cost.), tuttavia, ed allo stesso modo, non può assolutamente negarsi che competa sicuramente all’ambito Regionale l’adozione di misure cosiddette di dettaglio involgenti financo la tutela della salute, come del resto in passato chiarito dalla stessa Corte Costituzionale, la quale, in diverse occasioni, si è premurata di precisare che “l’intervento pubblico concernente gli stranieri non può (…) limitarsi al controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti – dall’assistenza sociale all’istruzione, dalla salute all’abitazione” (Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 300/2005; sentenza n. 156/2006; sentenza n. 299/2010).

Quanto detto si traduce, o quanto meno dovrebbe tradursi (e/o avrebbe dovuto tradursi in passato, ed evidentemente non è avvenuto), sul terzo piano, quello politico si intenda, nell’adozione di provvedimenti utili al perseguimento della necessaria rimozione degli ostacoli che a tutt’oggi impediscono il riconoscimento dei più elementari diritti in favore degli stranieri immigrati nel pieno rispetto della persona umana, giacché “il diritto alla salute” presuppone non solo l’impegno specifico di “impedire la costituzione di situazioni prive di tutela che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel (medesimo) diritto”, ma anche l’impegno ad assicurarne il godimento “anche agli stranieri qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato” (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 252/2001). La “questione”, tuttavia, erroneamente inquadrata e “trattata” sul piano dell’emergenzialità anche nel “caso siciliano” contingente, si è invece fallacemente concentrata, sulla scia della propaganda populista dell’ex capitano, sul “chi avrebbe dovuto fare cosa”, arenandosi drammaticamente sul comodo cuscino dell’inerzia strumentale della classe politica genericamente intesa ai vari livelli, sterilmente rappresentativa del solito “teatrino” del rimpallo continuato ed insofferente delle responsabilità tra Governo Centrale, Regioni interessate e correlate Forze Partitiche contrapposte. Diversamente, infatti, da quanto sostenuto dal Governatore Siciliano, il quale in assenza di prove concrete si è limitato, per il momento, solamente ad enunciare l’aggravamento del rischio sanitario, laddove lo Stato, per qualsivoglia motivo, ometta di assistere la Regione richiedente nel garantire condizioni di salute minime all’interno dei centri di accoglienza, la soluzione non può essere sic et simpliciter individuata nello sgombero funzionale di quei medesimi richiamati centri, quanto, piuttosto, nella predisposizione, medio tempore, di misure utili a perseguire l’obiettivo mancante come rettamente indicato dalla Corte Costituzionale. Purtroppo, è altrettanto vero che a livello statale, allorquando si tratti di affrontare le tematiche stringenti della salute pubblica conseguenti alla diffusione del Covid-19 e non solo, non si tiene in conto alcuno il costo delle cosiddette “popolazioni impercettibili”, le quali, inevitabilmente, restano escluse dall’accesso “garantito” alle informazioni utili ed ai servizi sanitari ed assistenziali assecondando, di conseguenza, e loro malgrado, un circolo vizioso perverso idoneo ad ingenerare un pregiudizio concreto non solo in loro stesso danno, ma anche in danno dell’intera società soprattutto allorquando la cosiddetta prima accoglienza, la quale dovrebbe essere provvisoria per sua stessa definizione, rischi di divenire una collocazione permanente vanificando il senso e le finalità della normativa in materia. Ma allora, se così stanno le cose, e rimbalzando in positivo l’interrogativo della discordia, “chi deve fare cosa” all’interno di una Regione che rappresenta da sempre la prima e più esposta linea di demarcazione europea ed italiana dei flussi migratori provenienti dall’Africa e che nel corso degli anni ha saputo fornire esempi concreti di accoglienza ed integrazione?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)
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