La settimana scorsa la Commissione Ue ha definito "giustificata" una procedura d'infrazione contro l'Italia per debito eccessivo, che si basa sul divario tra gli impegni di riduzione del debito pubblico presi dagli ultimi tre governi (Renzi, Gentiloni e Conte) e gli obiettivi effettivamente raggiunti o da raggiungere.

Il gap è stimato dalla Commissione del 5,8% del Pil nel 2016, del 6,7 nel 2017, del 7,6 nel 2018, nonché del 9 e del 9,2% nelle previsioni del 2019 e 2020. Si tratta di scostamenti rilevanti, che configurano il mancato rispetto della regola del debito che governa il funzionamento dell'Unione monetaria europea (Ume).

Sull'avvio della procedura a pronunciarsi sarà domani l'Eurogruppo, che a sua volta girerà la pratica al Consiglio Ecofin del 9 luglio, dove verrà presa la decisione finale. L'Ecofin potrà decidere di avviare o di sospendere la procedura in presenza di eventuali impegni aggiuntivi prospettati dal governo italiano, ma difficilmente potrà rigettarla perché la stragrande maggioranza dei governi Ue, compresi quelli sovranisti in teoria amici del governo giallo-verde, è a favore di una linea di rigore contro l'Italia.

La Commissione Ue contesta al nostro Paese di avere fatto molta demagogia con la spesa pubblica in deficit, ma ben poco per riformare davvero l'economia, che costituisce la condizione per rilanciare la crescita e ridurre il debito.

Il rallentamento economico del 2018, preso a pretesto da Tria per giustificare gli ultimi scostamenti, spiega solo in parte l'aumento del rapporto debito/Pil negli ultimi due anni.

Il ristagno dell'economia italiana, infatti, è ben più grave della sola congiuntura negativa del 2018. Esso è strutturale e viene riassunto in una crescita media dello 0,1% nel periodo 2004-2018, contro una media annua dell'1,5% nel resto della zona euro. Nella sostanza, la Commissione fa capire che la causa principale del ristagno italiano è costituita dall'enorme debito pubblico che frena la crescita; e che continuare a finanziare in deficit una maggiore spesa pubblica, come vorrebbe fare Salvini con la flat tax, non promuove la crescita, ma fa aumentare il debito.

Il rischio, come ha ammonito il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, è quello della "espansione recessiva", evocato recentemente dall'ex chief economist del Fmi, Olivier Blanchard. Secondo Blanchard, infatti, gli effetti positivi sulla domanda aggregata delle manovre in deficit come quelle del governo giallo-verde vengono più che compensati dagli effetti negativi dovuti all'aumento dello spread, che fa aumentare i costi di finanziamento del debito pubblico e gli interessi passivi che gravano sulle famiglie e sulle imprese.

In particolare, un esempio emblematico di espansione recessiva è costituito dalla riforma pensionistica di Salvini, che secondo la Commissione comporterà per quest'anno incrementi di spesa dello 0,3% del Pil. Ciò farà aumentare ulteriormente il costo delle pensioni, già valutato dall'Ocse al 15% del Pil, col rischio di mettere in dubbio la sostenibilità di lungo periodo del debito pubblico italiano.

Il risultato finale è un effetto netto negativo sulla crescita.

Da una condizione di espansione recessiva si esce in due modi, a seconda che si tratti di un Paese con politica monetaria autonoma, oppure appartenga a un'unione monetaria. Nel primo caso il Paese può ricorrere all'aiuto del Fmi, che lo aiuta ma solo a condizioni di bilancio molto restrittive, oppure fallisce. Il mondo è lastricato di Paesi andati in fallimento, anche nonostante l'aiuto del Fmi, da ultimo l'Argentina nel 2002. Il secondo caso è quello della Grecia, che appartiene all'Ume. Per evitare il fallimento, la Grecia nel 2015, dopo un referendum di conferma dell'euro, accetta di rispettare le regole europee e si affida alla Troika (Ue, Bce e Fmi). Oggi la Grecia è salva, cresce al tasso dell'1,4% e ha uno spread che tende a scendere sotto quello italiano. Il governo giallo-verde non può non rispettare i vincoli europei, altrimenti gli resta solo il modello argentin".

Beniamino Moro

(Docente di Economia politica, Università di Cagliari)
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