Inutile girarci intorno, all'ombra della bandiera dei Quattro mori è stata comminata (dopo la sconfitta che portò alle dimissioni Walter Veltroni) un'altra sentenza che vale per tutta la politica nazionale: il partito del Vaffa è ufficialmente morto in Sardegna. Chiusa la fase della protesta, senza possibilità di un ritorno al passato, adesso bisogna capire se dalle ceneri di quella storia per Luigi Di Maio e i suoi compagni di avventura ne nascerà una nuova. È stata una sconfitta drammatica, quella del Movimento 5 Stelle in Sardegna.

Christian Solinas ha vinto come un rullo compressore, trainato dalla sinergia con Matteo Salvini, mentre Francesco Desogus sembrava un orfano che si ritrova solo un mezzo alla tempesta, diventando l'ultimo sfortunato erede della tormentatissima vicenda dei gruppi dirigenti pentastellati nell'Isola.

La storia si ripete: Matteo Salvini ha trainato Solinas esattamente come fece Silvio Berlusconi con Ugo Cappellacci, e ha trasformato la candidatura del suo pupillo nel volano di un inedito partito-franchising, un nuovo modello politico: il Psd'az porta in dote le sue forze, e la sua infrastruttura, e si alimenta grazie all'immagine della sua casa madre, arrivando quasi a triplicare i consensi del politiche. Diventa un altro forno in cui cucinare le messi del Salvinismo.

Ma se la vittoria del sardista "incarrocciato" è figlia di un sentimento nazionale, anche la sconfitta di Francesco Desogus, lo è. E non perché, come ha detto lui con una qualcerta dose di amarezza, «Di Maio non ha messo la faccia contro il suo alleato». Ma piuttosto perché in queste ore il M5s ancora non ha una nuova faccia da mostrare in pubblico: è un corpo mutante, a metà del guado, un bruco che non sa ancora se diventerà una farfalla, o se diventerà baco da seta triturato con meccanica ferocia nel mulino della storia. È un movimento in cui molti sono tentati dall'idea del tornare indietro: come erano belli i tempi - sussurrano gli ortodossi nostalgici - in cui provavamo ad aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno.

Se il M5s fosse un partito tradizionale la sua storia sarebbe già scritta: una forza che perde un voto su due (tra chi ha votato e chi no) e tre su quattro (fra i consensi relativi) sarebbe già un cadavere senza prospettiva. Ma il M5s è un non-partito, governato da un non statuto, e ha già da anni un percorso strano è molto carsico: perdente in molte amministrative, vincente in altre. E forse molti ricordano il caso di Patrizia Bedori, la (non) candidata che scoppiò a piangere dopo aver vinto la consultazione online delle primarie, che finì triturata nell'insultificio del web aggredita nel web (soprattutto dai suoi militanti) anche per la sua mole. Non resse l'urto, crollò psicologicamente e si ritirò. Il candidato del Movimento, Gianluca Corrado, prese esattamente il 10%, più o meno come domenica Desogus, e tutti pensavano che la storia delle Cinque stelle all'ombra del Duomo finisse lì. Era il segnale rivelatore di un malessere profondo, ma così come si era sommerso, il fiume il grillino, riemerse per le elezioni politiche.

Adesso Di Maio sta vivendo il travaglio più grande: si ritrova a gestire una crisi di identità e combattuto tra spinte diverse. E ieri ha scelto di far cadere l'ultima delle regole dell'età dell'oro, il limite dei due mandati. Solo a livello locale, per ora. Ma, pochi lo sanno, il tetto era già saltato per il mandato di governo. Il capo politico del movimento annuncia che resterà per quattro anni, e continua a spingere nella direzione di un nuovo partito, "de-vaffizzato", un partito di governo che fa cose, e la finisce di distinguersi per i suoi No. La lezione della Sardegna infatti è questa: con i No si può vincere, ma non si può governare la complessità italiana. I Cinque stelle, adesso, per non estinguersi devono risorgere alle elezioni europee, e per farlo hanno una sola carta: dimostrare che la complessa architettura del Reddito di cittadinanza è in grado di funzionare. Dal punto di vista simbolico, sarebbe il loro primo sì, un sì che costa 6 miliardi.

Luca Telese

(Giornalista, autore televisivo)
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