Roberto Fontana, magistrato di lungo corso, pubblico ministero alla Procura di Milano, non ama i preamboli. Nella causa sul possibile crack marittimo-finanziario più rilevante del secolo, ieri mattina, non ha usato mezze parole: Cin-Tirrenia, società del gruppo Onorato, deve fallire. La requisitoria è tutta documentale senza retorica giudiziaria: troppi debiti complessivi, 740 milioni, molti scaduti, 350/400, 180 milioni da restituire uno sull'altro allo Stato per il mancato pagamento di tre rate dell'acquisto della compagnia pubblica. Richiesta senza attenuanti depositata in base alla legge fallimentare che attribuisce al pubblico ministero l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento.

De profundis

Il giudice inquirente ha bruciato sul tempo tutti i creditori che avrebbero potuto a loro volta presentare l'istanza per il de profundis di Cin-Tirrenia e della stessa Moby per lo stesso identico motivo. Il glaciale palazzo di Giustizia di Milano, a due passi da piazza San Babila, quartier generale di Moby-Tirrenia, è deserto quando la richiesta di fallimento irrompe in un fascicolo carico di debiti. In discussione non c'è solo il futuro della Compagnia Italiana di Navigazione ma dell'intero gruppo Onorato. La trasversalità tra le due compagnie, Moby e Tirrenia, è, infatti, scolpita nei bilanci, nei milionari travasi di denari dai rispettivi conti correnti, nelle navi a doppia livrea che saltellano da una società all'altra senza alcuna scaramanzia. Il togato dell'accusa usa il bisturi e la motosega, non lascia spazio a buonismi. In ballo ci sono ben 740 milioni di euro di debiti tra Moby e Tirrenia. Una montagna di soldi sonanti che devono essere restituiti uno sull'altro a chi li ha prestati o peggio investiti. Il documento presentato ai giudici, oggetto della nostra inchiesta nei giorni scorsi, non ha convinto nessuno, la Procura tantomeno.

Inammissibile

E' per questa ragione che i magistrati inquirenti hanno usato la formula dell'inammissibilità della proposta di concordato preventivo avanzata dalla famiglia Onorato. Ora sarà il collegio giudicante della sezione fallimentare del Tribunale di Milano, presieduto da Alida Paluchowski, a dover decidere: fallimento, concordato preventivo o amministrazione straordinaria. Le formule nel diritto fallimentare non mancano, ma la sostanza descritta dal pubblico ministero non lascia molti spiragli. La Procura di Milano, che ha chiesto al Tribunale il fallimento di Cin, la "sua" sentenza l'ha già emessa: nella richiesta di fallimento ha messo nero su bianco un passivo della società di 200 milioni, con 350-400 milioni di debiti già scaduti che da soli portano dritti dritti nel baratro del fallimento. A tutto questo si aggiunge il debito chiave dell'intera vicenda, quello con lo Stato. Quando nel 2012, Onorato e Company, decisero di comprare la vecchia Tirrenia saldarono, indebitandosi, solo i primi 200 milioni di euro, dividendo in tre rate i restanti 180 milioni. Le tre rate sono di fatto tutte scadute, la prima ad aprile del 2016, la seconda nel 2019, la terza ad aprile 2021. A differenza degli altri debiti che risultano tutti negoziabili, perché si tratta di una partita tra privati, la montagna di soldi che Onorato deve allo Stato non può essere scontata.

Debiti non trattabili

Si tratta di un debito irrevocabile, non trattabile, proprio perché chiunque si azzardasse a ridurli andrebbe immediatamente sotto processo da parte della Corte dei Conti. Unica possibilità per tenere aperta la partita sarebbe stato un accordo con i Commissari di Stato, quelli della Tirrenia in amministrazione straordinaria. Ipotesi che non ha mai sfiorato né i tre delegati del ministero dello Sviluppo economico tantomeno lo stesso dicastero.

Corte dei Conti guarda

Tutti sanno che alla minima firma o concessione finirebbero sotto le forche caudine della Giustizia erariale. La Corte dei Conti osserva. Dunque, 180 milioni è il debito e 180 devono essere restituiti alle casse dello Stato, necessari, del resto, per pagare coloro che da più di dieci anni attendono di vedersi riconosciuti i crediti della vecchia Tirrenia. Il debito statale è osservato speciale anche a Bruxelles. Non è un segreto che la Commissione Europea abbia più volte fatto trapelare il monito al governo italiano: qualsiasi sconto o riduzione di quel debito va inteso come aiuto di Stato illegittimo e come tale non autorizzabile. Anche in questo caso potrebbe scattare un'azione di recupero dell'eventuale aiuto di Stato da parte della Giustizia Europea. Ipotizzare una nuova trattativa con il Governo, come ha fatto trapelare lo stesso gruppo Onorato, lascia il tempo che trova proprio per la presenza di un ostacolo insormontabile, quale la riduzione del debito con lo Stato. Difficile pensare ad una soluzione politica. E lo è ancor più difficile in questa fase prefallimentare considerato che, se gli accordi non si sono definiti sino ad oggi, sarebbe ancor più delicato per le istituzioni intervenire finanziariamente su questa vicenda. Il Tribunale ha, comunque, concesso, come prevede la norma, altri 15 giorni alla società, «per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti».

Respinta la proroga

Nessuna ulteriore proroga dei tempi, come hanno chiesto nell'udienza di ieri mattina gli avvocati di Onorato. Richiesta respinta, senza se e senza ma. Un segnale eloquente che non solo la Procura, ma anche la magistratura giudicante non intende perdere altro tempo, dopo aver dato fondo a tutte le possibili dilazioni temporali. Il tempo, dunque, è scaduto. Il 6 maggio il Tribunale fallimentare deciderà sull'istanza di fallimento. Onorato fa sapere di voler puntare ad una nuova trattativa per la ristrutturazione della montagna di debiti ma la credibilità della trattativa è ridotta al lumicino e tra i creditori si registra una diffidenza sostanziale, soprattutto dopo che sono emerse le prassi gestionali e le spese pazze delle due compagnie.

Esigenze personali

Non ha certo fatto piacere a chi aveva investito nella Moby sapere il sistematico e smisurato utilizzo di denaro societario funzionale a "esigenze personali" dei vertici della società. Cin a luglio scorso aveva presentato una richiesta di concordato in bianco. Alla scadenza dei termini, però, non aveva presentato la proposta di «concordato preventivo» o di «omologa di accordo di ristrutturazione» del debito. Alida Paluchowski, Presidente del Tribunale fallimentare, non ha perso tempo fissando per ieri l'udienza per consentire al pubblico ministero di depositare l'istanza di fallimento.

Finito lo «scudo»

Con il rigetto della domanda di nuova proroga avanzata da Onorato i togati hanno di fatto eliminato lo scudo protettivo della precedente richiesta di concordato in bianco. Questo potrebbe aprire scenari ulteriori anche se l'imminente data del 6 maggio prossimo suggerirà ai creditori di attendere la decisione dei giudici prima di intraprendere nuove azioni. Onorato ha i giorni contati per presentare un vero concordato preventivo e tentare di salvare la Cin - Tirrenia. Ipotesi non facile e considerata da tutti remota. Per farlo gli servirebbero molti soldi, molti di più di quelli che ha preannunciato. Il 6 maggio il Tribunale si pronuncerà. Il fallimento è dietro l'angolo.

Mauro Pili
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