Viene tramandato come un episodio epico, come una delle (poche) vittorie ottenute dal popolo sardo. E, in realtà, le cose stanno davvero così: nel 1793, i cagliaritani riuscirono a respingere l’assalto navale delle truppe rivoluzionarie francesi. Resta soltanto da capire se quella non fu una vittoria di Pirro. Perché permise ai famelici Savoia di continuare a tiranneggiare l’Isola. Perché la ventata rivoluzionaria influenzò soltanto menti illuminate come quella di Giovanni Maria Angioy. E perché, se le cose fossero andate in maniera diversa, la Sardegna sarebbe, come la Corsica, una “collettività territoriale” della Francia. E Cagliari sarebbe considerato il luogo in cui è nata una delle più importanti invenzioni della storia moderna, la fotografia. Si deve, invece, accontentare del fatto che tutti i testi sono concordi nel raccontare che il vero inventore della fotografia, Joseph Nicéphore Niépce, ebbe l’illuminazione proprio mentre si trovava a Cagliari. Anzi, sarebbe più corretto dire, al largo di Cagliari, durante l’assedio della città. E fu perfezionata qualche anno più tardi quando trascorse un lungo periodo in città.

Nato a Chalon-sur-Saône il 7 marzo 1765, partecipò anche lui all’assalto rivoluzionario di Cagliari nel 1792. Un assalto respinto grazie all’inattesa resistenza dei sardi che cercavano di ottenere la benevolenza dei Savoia (sbagliando per l’ennesima volta). E – figurarsi se questa figura può mancare quando si parla di Cagliari – grazie all’intercessione di Sant’Efisio a cui si rivolse l’arcivescovo Melano. I francesi intimarono più volte ai cagliaritani di arrendersi: visto il rifiuto, il 28 gennaio la città fu bombardata (nel palazzo Boyl sono ancora visibili tre palle di cannone lanciate dalle navi francesi). Non servì a nulla (anche per la scarsa precisione delle armi pesanti transalpine). Il mese successivo le truppe francesi sbarcarono nei pressi del Margine Rosso ma i miliziani sardi, guidati da Vincenzo Sulis, respinsero l’assalto.

Il 15 e 16 febbraio la città fu di nuovo bombardata pesantemente: questa volta, i colpi dei francesi distrussero la Torre dell’Aquila. E qui – come sostiene la fede popolare – entrò in gioco Sant’Efisio: il 17 un fortissimo vento di levante danneggiò le nave francesi che furono spinte sino al Poetto e alla spiaggia di Quartu. Morirono affogati centinaia di rivoluzionari francesi. E il resto della flotta superstite si allontanò definitivamente da Cagliari.

Che cosa c’entra Niépce in tutto questo? A bordo di una di quelle navi c’era anche quel giovane che, dopo aver pensato di prendere i voti e diventare sacerdote, fu influenzato dagli ideali rivoluzionari e partecipò a quella spedizione. Proprio durante le lunghe traversata e l’attesa davanti a Cagliari, cominciò a maturare quell’idea che, rientrato in Francia, prese ancora più corpo.

Il caso volle che, qualche anno più tardi, nel 1796 tornasse in Sardegna. E lì cominciò a rendere sempre più concreta la sua idea: insieme al fratello Claude, concepì l’idea della camera oscura. Puntava, in pratica, a fissare le immagini su una lastra da incisore. Fece innumerevoli esperimenti: inizialmente cercò sostanze che, esposte alla luce, annerissero; poi, finalmente, utilizzò il “bitume di Giudea”, sostanza costituita da bitume, standolio, argilla ed essenza di trementina. Fu, finalmente, un successo: chissà quante immagini di Cagliari ha realizzato durante questi tentativi. Nessuno può saperlo. E, molto probabilmente, ne avrebbe realizzato altre se un problema di salute non lo avesse costretto a ritornare frettolosamente in Francia. La storia racconta che la prima ripresa fotografica la “Vista dalla finestra a Le Gras”, l’immagine “scattata”, nel 1826, dal primo piano della sua casa-laboratorio di Saint-Loup-de-Varennes. Ora è esposta all’Harry Ransom Center dell’Università del Texas ad Austin. Magari, se la storia avesse preso un’altra piega, adesso nell’ateneo statunitense ci sarebbe una riproduzione della Sella del Diavolo.

Cagliari non può vantarsi, dunque, di essere stata il soggetto della prima fotografia nella storia dell’uomo. Ma, fatta la scoperta, neanche a Niépce le cose andarono benissimo: dopo aver speso quasi tutto il suo patrimonio in queste ricerche, si ritrovò a essere in una difficile situazione finanziaria. Fu contattato da Louis Jacques Mandè Daguerre, anche lui impegnato a riprodurre immagini prese con la camera oscura. Crearono una società ma, alla morte di Niépce, avvenuta nel 1833, non erano stati ancora raggiunti risultati apprezzabili. Che arrivarono due più tardi. Nel frattempo, il figlio di Niépce, Isidore, non riuscì a impedire che il cognome del padre sparisse dalla società. E così il primo procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini finì con il chiamarsi dagherrotipo.
© Riproduzione riservata