Riportiamo l'intervento di Aldo Berlinguer sullo stato "comatoso" del settore delle costruzioni, uno dei comparti trainanti dell'economia italiana.

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È noto lo stato comatoso del settore delle costruzioni, con numeri davvero sconcertanti. Negli ultimi dieci anni sono fallite 120mila imprese, si sono persi 600mila posti di lavoro, il fatturato del comparto è sceso di almeno sei miliardi di euro ed il suo peso sul PIL si è quasi dimezzato: dal 29 al 17%. Il che significa aver bruciato oltre 100 miliardi di euro di giro d'affari mentre 300 opere restano attualmente bloccate. Non c'è male, per uno dei settori trainanti dell'economia italiana.

Nessuno è rimasto indenne da questo tsunami: Astaldi, Condotte, Trevi, Fincosit, Mantovani, Grandi lavori, Unieco, Toti e tanti altri, anche di minori dimensioni, sono stati colpiti, alcuni fatalmente. Ed altrettanto grave è l'esposizione di questi gruppi col sistema bancario, ciò che mette a rischio anche quest'ultimo.

Pericolosa, in alcuni casi, anche la corsa all'estero, avendo i gruppi in difficoltà concentrato le proprie attività in Paesi ad alto rischio sistemico. Oggi il 70% di esse (sino a ieri meno del 30%) è stato spostato in Argentina, Qatar, Venezuela, Turchia, con l'aggravante di una protezione istituzionale italiana molto bassa, se non inesistente. Se ne accorgono i nostri concittadini, ogni volta che incorrono in qualche problema all'estero. Molto diversa, invece, la situazione in altri Paesi europei, in particolare al nord, con una crescita del settore attorno al 30% in Svezia e Finlandia, sino ai numeri da capogiro di Lituania ed Estonia, che oscillano con tassi di crescita del 50, 60%.

Ciò significa che le cause della nostra débacle sono in buona parte italiane.

Eppure è noto lo stato di abbandono di moltissime nostre infrastrutture e le pessime condizioni del patrimonio edilizio, con gravi problemi di obsolescenza, vulnerabilità sismica, dispersione energetica e conseguenti emissioni inquinanti, costi sanitari legati all'insalubrità dell'abitare, eccetera. Ancor più in quelle Regioni, come la Sardegna, dove il 63% delle abitazioni è stato costruito prima del 1981 e dove (lo ha segnalato, da ultimo, la CNA) oltre la metà di quelle costruite ante 2001 non ha mai subito alcun intervento manutentivo, altro che bioedilizia.

Anche l'Europa ci chiede di attivarci, da ultimo con la Direttiva UE 887/2018, che ci impone di efficientare e decarbonizzare il nostro patrimonio abitativo, atteso che il 60% del fabbisogno energetico italiano è consumato dagli edifici e questi ultimi disperdono il 60% di energia.

Perché allora questo paradosso? Una grande domanda di manutenzione del nostro territorio che non si incontra con l'offerta?

Semplicemente perché, in un settore fortemente regolamentato, a intermediare domanda e offerta è lo Stato. Lo sanno bene gli addetti ai lavori: burocrazia, pressione fiscale elevatissima, opere bloccate, ritardi nei pagamenti.

Almeno 8 sono i miliardi di euro di arretrati verso la PA. E non è un caso che la sola CMC, negli ultimi due anni, abbia (s)venduto decine di milioni di euro di crediti verso ANAS. Si aggiunga che nei primi cento players delle costruzioni nel mondo c'è solo Salini Impregilo (15° posizione) mentre Austria, Spagna e Francia ne annoverano due a testa. Quindi anche il fattore dimensionale ci penalizza. Ma crescere, in Italia, è davvero impervio.

E il patrimonio pubblico? No comment: le infrastrutture continuano a deteriorarsi, specie quelle ormai "orfane" delle Province. Idem per l'edilizia pubblica. Si chiedano agli Enti pubblici: date di costruzione, interventi manutentivi, conformità urbanistica, impiantistica, sanitaria. Si chieda chi vive nelle case pubbliche, da quando, a che titolo, che canoni versa. Non si attenda però una risposta; quasi mai arriverà.

Possibili soluzioni? Tante: fascicolo del fabbricato, screening sugli immobili più datati, riuso, un grande "piano costruzioni" volto a mettere in sicurezza infrastrutture e immobili partendo dagli edifici strategici (tribunali, scuole, ospedali..). Aggiungerei un'adeguata pianificazione dei benefici fiscali fuori dalla logica degli interventi occasionali (bonus, proroghe...) che duri quanto basta a programmare investimenti; del resto l'alternativa è il calo dei fatturati, che di gettito non ne porta alcuno.

Ma le risposte non arrivano, se non attraverso assurde rendicontazioni, contabilità e burocrazia che producono costi economici e amministrativi insostenibili. Il prelievo fiscale resta elevato, il gettito IMU-Tasi, pari a circa 21 miliardi di euro l'anno, viene destinato altrove, con le accise continuiamo a finanziare la guerra d'Etiopia e l'articolo 208 del decreto legislativo 285/1992, che obbligava a reinvestire in sicurezza stradale i proventi delle sanzioni, è rimasto un numero, anzi tre.

Aldo Berlinguer

(Professore ordinario all'Università di Cagliari)
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