Roma, 7 agosto 1990: manca una settimana a Ferragosto, fa caldo, in giro c'è pochissima gente. Sono le 3 del pomeriggio quando Paola Cesaroni accompagna la sorella Simonetta, 21 anni, alla fermata della metropolitana di Subaugusta. Le ragazze si salutano. Per Simonetta è l'ultimo giorno di lavoro, poi andrà in vacanza in Sardegna. Arriva in via Poma, al civico 2, terzo piano, scala B. Lì ci sono gli uffici dell'Associazione italiana alberghi della gioventù: la ragazza ci lavora due volte a settimana, per tre ore, per arrotondare lo stipendio di contabile.

Di sicuro alle 17.35 Simonetta è ancora in ufficio, perché riceve una telefonata; alle 18.20 dovrebbe chiamare il suo capo, ma lui non riceverà mai quella telefonata. A casa l'aspettano intorno alle 20 per la cena; alle 20.30 la sorella Paola comincia ad allarmarsi e scattano le ricerche. Solo alle 23.30 il cadavere della ragazza verrà trovato negli uffici di via Poma. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, nel locale c'è un uomo, Simonetta viene immobilizzata a terra, l'uomo è sale in ginocchio sopra di lei, la colpisce o le sbatte la testa sul pavimento. La ragazza sviene. Lui prende un tagliacarte e la pugnala per 29 volte, anche sul viso. Poi scappa. La vittima verrà trovata a terra nuda, le gambe divaricate e le braccia aperte.

GLI ACCUSATI - Tre le persone che vengono indagate per il delitto: Pietrino Vanacore, portiere dello stabile di via Poma; Federico Valle, figlio dell'architetto che abita nell'edificio; Raniero Busco, fidanzato di Simonetta. Il primo, Vanacore, si è suicidato nel 2010: gli inquirenti hanno indagato su di lui per anni, ma la prova regina che lo scagionava era il fatto che il sangue trovato sulla porta dell'ufficio di via Poma non era il suo. Federico Valle è stato scagionato per lo stesso motivo; infine Busco viene prima condannato, poi assolto in appello. Infine anche la Corte di Cassazione ha stabilito il proscioglimento definitivo. E l'assassino di Simonetta è rimasto senza nome.
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