Una corsa che, secondo il pilota di MotoGP Danilo Petrucci, non avrebbe dovuto svolgersi quella andata in scena ieri al Mugello e che, durante le qualifiche della Moto3 al sabato, è stata segnata dalla tragedia per la morte del pilota svizzero Jason Dupasquier.

“Non volevo correre per una questione di rispetto – ha detto il centauro ex Ducati, oggi in Ktm – siamo persone, prima che piloti. Domenica a Barcellona c’è un’altra gara, ma quel ragazzo adesso è all’obitorio e presto sarà sotto terra. Non lo conoscevo personalmente, ma mi sono sentito sporco dentro. Comandano gli sponsor, il business. Era così difficile correre un giorno dopo, al lunedì? Fermarsi per 24, piccole ore? Nessuno ci ha interpellato, noi piloti dico. Ho saputo che Jason era morto durante la gara di Moto2, ho pensato: me ne vado, per conto mio. Poi mi sono detto che sarei passato per quello poco professionale, lo ‘strano’ del gruppo. Mi era già successo qui al Mugello nel 2011: correvo in Superstock e all’alba abbiamo visto alla televisione morire il Sic, in Malesia. All’inizio eravamo tutti d’accordo a fermarci, poi ognuno ha deciso per conto suo: sono stato il solo a dire no. Gli altri brontolavano, dicevano che era perché tanto avevo già vinto il campionato. Così ho corso pure io. Dopo il traguardo sono scoppiato a piangere”, ha raccontato a Repubblica.

Petrucci ha poi riflettuto sul fatto che le moto hanno “corso sul sangue” che gli addetti del circuito hanno cercato di lavare via. “Ci siamo passati sopra, con le bandiere giallorosse che segnalavano la presenza di liquido. Come se niente fosse. In gara il minuto di silenzio, e di corsa in pit lane: forza, 23 giri da fare a 350 all’ora. È stato orribile. Secondo voi i genitori del ragazzo avrebbero voluto che si corresse? Thomas Luthi, che è svizzero e un loro grande amico, ha scelto di restare al box. Ma Jason era solo un ragazzino di Moto3. Se fosse morto un pilota di MotoGp le cose sarebbero andate diversamente. La verità è che si usano pesi e misure diverse: dimenticando che c’è la vita, in gioco. Dupasquier, Salom e Marco Simoncelli erano esattamente come me, Valentino e Mir: ragazzi che facevano la nostra stessa cosa. Io e Valentino siamo tra i più vecchi, io ho 30 anni e come lui ne ho viste tante. Sabato era già tutto troppo chiaro, purtroppo. Non credo ci siano colpe in questa tragedia, è solo destino. Ma un giorno di stop non avrebbe fatto male a nessuno. La differenza rispetto a un tempo, è che siamo solo diventati meno umani”.

"Forse un incontro tra piloti sarebbe stato necessario per condividere i nostri pensieri e opinioni. Almeno hanno levato la champagne dal podio”, l’amara conclusione.

(Unioneonline/v.l.)

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