Sor Carletto ha compiuto ottant'anni. E il calcio, domenica 19 marzo, è restato fuori dal ristorante dove, con la famiglia e qualche amico antico, ha festeggiato la ricorrenza.
Moglie, figli, nipoti: la vita di Carletto Mazzone, indimenticato e indimenticabile allenatore del Cagliari che nella stagione 1992/1993 centrò la qualificazione alla Coppa Uefa, oggi è tutta per loro. «Per me è la stagione degli affetti, dei miei cari», dice con enfasi forse cercata. Quasi volesse ricordare al mondo che la sua dimensione attuale è «il circolo, due-tre ore con gli amici di sempre, qualche partita di calcio in Tv, ma niente di più». Ad Ascoli, «ormai la mia casa», parlare di Mazzone è come tirare fuori dal cassetto la storia di un mito.

Lui, romano e romanista, nelle Marche era andato per giocare come mediano in Serie C: dei bianconeri è diventato una bandiera da calciatore; da allenatore ha portato e tenuto in Serie A il club del vulcanico presidente Costantino Rozzi prima di iniziare il suo personalissimo giro d'Italia che, nel 1991, ha toccato anche Cagliari. A chiamarlo erano stati i fratelli Orrù. Con Massimo Cellino, nel frattempo diventato presidente, ha raggiunto l'apice del successo in rossoblù al termine della seconda stagione nell'Isola, con la qualificazione alla Coppa Uefa. I saluti, per via della chiamata della Roma, «il sogno di una vita», non furono un addio. Il ritorno, nel 1997, fu però triste: culminò con la retrocessione nello spareggio di Napoli col Piacenza. «Ma», dice a distanza di vent'anni, «preferisco non ricordare quel giorno».

Auguri, Mazzone.
«Grazie di cuore».
Ottant'anni sono un grande traguardo.
«Sì, se non fosse per il raffreddore che mi ha debilitato per qualche giorno...» (ride).
Sabato al Del Duca il pubblico dell'Ascoli l'ha osannata.
«D'altronde, che volete: è la mia città, la gente qui mi vuole bene».
Anche a Cagliari, dopo quello che ha fatto.
«Ricambio e saluto tutti gli amici sardi».
Perché preferisce non ricordare lo spareggio di Napoli?
«È passato tanto tempo. La situazione era particolare: mi dispiace che sia andata così».
Solo questo?
«Dai, quanti anni sono passati? Chiudiamola qui».
Sa che l'hotel in cui risiedeva a Cagliari, il Mediterraneo, è stato chiuso e che i dipendenti non hanno avuto buona sorte?
«Se è così, mi dispiace per loro. Davvero».
Come ha trascorso il suo ottantesimo compleanno?
«In famiglia».
Quante persone l'hanno chiamata?
«Moltissime. E ho cercato di ringraziare tutti. Ho ricevuto e apprezzato che abbiano pronunciato belle parole su di me i miei ex calciatori».
A cominciare dal suo “allievo” Pep Guardiola.
«Gli sono grato per questo. Come sono grato a Baggio, che mi ha scritto una lettera».
E a Totti, che le ha inviato la maglia numero 10 della Roma?
«Francesco è come un figlio per me. Ricordo che, quando stavo alla Roma, trascorrevo molto tempo anche a casa sua per far capire a lui e ai familiari che il percorso che stava intraprendendo in quegli anni era importante. Un giorno mi chiamò il presidente Sensi. “Carlo, mi consigliano di prendere Litmanen, che faccio?”. Gli risposi: “Perché buttare i soldi? Abbiamo il ragazzino”. Ci ho beccato».
Alla fine, per usare una frase che rivolse a Vialli, anche se in un altro contesto, “il pallone si sgonfia per tutti”. Quale futuro vede per Totti?
«Ripeto: è una grande persona, sa il fatto suo. Prenderà senz'altro la decisione migliore per il dopo-calcio».
Tornando agli anni di Cagliari, qual è il momento che ricorda col sorriso?
«Ovvio, la qualificazione alla Coppa Uefa».
Che cosa ricorda di quel periodo?
«A Cagliari l'ambiente era ottimo, non avevamo pressioni particolari. Quel risultato e i successi che la squadra visse nella stagione successiva derivarono proprio da questa condizione, direi ottimale per fare bene».
Aveva una grande squadra tra le mani.
«Era un gruppo formato da ottimi giocatori. A Cagliari ho allenato Francescoli, un campione, classe cristallina».
C'è un aneddoto che vuole regalare ai tifosi del Cagliari?
«A San Siro, col Milan stellare di Capello, perdemmo nel finale per via di un rigore provocato da Pierpaolo Bisoli. Alla fine, andai in sala stampa contrariato e, nel condannare bonariamente l'intervento maldestro del mio giocatore, mi uscì dalla bocca un'esclamazione: difensore scivoloso, difensore pericoloso . Ho notato che, negli anni, è diventata di uso comune».
Lei ha anche pronunciato un altro concetto quanto mai attuale: “Dicono che gli errori degli arbitri cor tempo se compensano. Allora dico: fate presto perché io sto quasi per andà in pensione e sto sempre in rosso”.
«La buona fede degli arbitri non è in discussione. L'unica differenza rispetto ai miei tempi è che nella classe arbitrale di oggi non sempre riscontro prestazioni di classe. Anche se va detto che è difficile non cadere in errore nel calcio moderno».
Sfati un mito: è vero che faceva rigare dritto i giocatori, ricorrendo alle maniere forti se necessario?
«Cercavo di fissare delle regole. Erano tre, in fondo: il rispetto, la buona fede e la puntualità prima di tutto».
Mazzone quindi non era un sergente di ferro?
«Mi facevo sentire solo se qualcuno derogava. E non avevo difficoltà nel farmi capire».
Massimo Cellino l'ha più volte definita il suo padre calcistico.
«Con Cellino ho un ottimo rapporto, ricordo con piacere i suoi esordi da presidente e la sua determinazione, che lo ha portato a diventare un buon dirigente».
Vi sentite ancora?
«A Natale e a Pasqua mi chiama sempre».
Il Cagliari può tornare in prospettiva ai livelli europei dove l'aveva portato lei?
«Preferisco, in generale, non sbilanciarmi in valutazioni su questioni che non conosco a fondo, anche se all'esperienza cagliaritana sono legato in modo particolare. La salvezza quest'anno mi pare sia praticamente arrivata: direi che è una gran cosa, no?».
Gigi Riva, di recente, è stato insignito dal Coni del Collare d'Oro.
«Un grande sportivo. Un fuoriclasse anche fuori dal campo. Ciao, Gigi».
Riva ha salutato il pubblico del Sant'Elia quando gli è stata consegnata l'onorificenza. Lei, dopo l'ovazione del Del Duca, quando verrà a prendersi quella del Sant'Elia?
«Sarebbe bello. Ma a ottant'anni, da Ascoli a Cagliari è un viaggio un po' lungo. Saluto tutti: i sardi sono gente leale e perbene».

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