Questa è la storia di un ragazzo di ventidue anni e di suo padre.

Questa è la storia di un giovane ciclista dilettante e di un uomo di sport che ha studiato diritto.

Questa è la storia di un atleta morto durante una gara e di un genitore alla ricerca della verità.

Questa è la storia di Giovanni che da oltre due anni non c’è più e di Carlo che non si arrenderà fino a quando non sarà fatta giustizia. E giustizia - grida Carlo da molti mesi - può essere fatta solo attraverso un processo dove, nel contraddittorio tra le parti, si metta un punto fermo su che cosa sia realmente successo il 5 ottobre 2019.

A Molino dei Torti, un piccolo comune in provincia di Alessandria, si corre l’ottantasettesima edizione del Circuito Molinese, la gara storica di Fausto Coppi: 108 ciclisti dilettanti under 23 devono ripetere per 19 volte un circuito di sei chilometri con arrivo sotto il municipio. In tutto 115 chilometri, lungo i quali si viaggia spesso a 50 orari e aumentano quando il gruppo a ranghi compatti arriva a duecento metri dal traguardo, con 40 corridori lanciati per disputarsi la vittoria in volata. Giovanni Iannelli, col numero 187, è in mezzo al gruppo tra la 15esima e la ventesima posizione. C’è una leggera pendenza e le bici volano a settanta all’ora nella via Roma. All’improvviso, un contatto: Giovanni sbanda sulla sinistra dove non c’è un marciapiede e neanche transenne o materassi a proteggerlo da una colonna di mattoni rossi prospiciente sulla sede stradale. Striscia sul muro, una scarpa si impiglia, fa una mezza giravolta e finisce di testa su un’altra colonna. Sono le 16,24. L’impatto è fatale.

Per Giovanni non c’è nulla da fare. Nessuno può salvargli la vita.

Semmai, ci si poteva pensare prima. Il che significa pensare anche al dopo, in modo che non succeda più.

Sì, perché il padre Carlo, che di professione fa l’avvocato ed è stato anche vice presidente del comitato toscano della Federciclismo nonché giudice federale per dieci anni, fin dall’inizio ha voluto vederci chiaro, nel senso che quel rettilineo finale è sempre stato pericoloso e necessitava di protezioni. Che invece non c’erano. Ma l’inchiesta penale è stata archiviata (nessuna responsabilità, nessun colpevole), l’ultima volta lo scorso 30 dicembre, dopo l’ennesima istanza per riaprire il caso sempre con lo stesso obiettivo: fare piena luce attraverso un dibattimento pubblico. Questo chiede l’avvocato Carlo Iannelli, padre di Giovanni, morto in gara. E se anche il processo dovesse concludersi con un’assoluzione, non gli starà bene, così dice, ma ne prenderà atto, così assicura.

Nel frattempo scrive a tutti: Csm, Procuratore presso la Cassazione, Draghi, Casellati, Fico, comandante generale dei carabinieri, giornali. Sulla vicenda sono state presentate tre interrogazioni parlamentari (una è ancora pendente) e da maggio la ministra della Giustizia Cartabia ha sulla scrivania un’istanza che attende risposta.

Durante le feste di Natale pure il sindaco di Prato, la città dove Iannelli è nato, lavora e vive con la moglie e le altre due figlie, si è messo in penna e ha scritto al procuratore di Alessandria per chiedere che fine avessero fatto le sue istanze che chiedevano la riapertura delle indagini: la prima era già stata respinta, la seconda ha avuto lo stesso esito il 30 dicembre scorso.

Ma Carlo Iannelli non si dà per vinto. Da mesi scrive sui social, ovunque e a chiunque, racconta la storia della gara in cui ha perso la vita Giovanni, allega gli articoli di giornale, racconta la sua versione dei fatti, è pronto ad allegare le carte, i documenti, le perizie, insomma si attiva in tutti i modi affinché la vicenda del figlio non venga sepolta e, anzi, se ne parli. Il suo obiettivo è uno solo: arrivare a un processo, «perché quella è la sede naturale dove si accerta la verità», dice.

Si lamenta di molte cose Carlo Iannelli, a cominciare dal fatto che dopo la prima audizione, nell’immediatezza dei fatti, gli inquirenti non lo abbiano più sentito.

“Sono la persona più tranquilla e pacifica del mondo”, dice al telefono con tono calmo, “ma quando succedono queste cose la vita si ribalta in un attimo, tutto è rovesciato, soprattutto se succede quello che è successo dopo. Una vergogna nazionale”.

La vergogna secondo Carlo Iannelli consiste nel modo in cui sono state condotte le indagini che hanno portato all’archiviazione. Nessuna responsabilità degli organizzatori della gara. 

Invece il padre chiede giustizia: “Per Giovanni e per tutti, non voglio che la sua tragedia sia vana”.

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