Traguardavano le stelle, triangolavano con la luna e il sole, proiettavano il cielo in terra. Niente era lasciato al caso nella terra dei Nuraghi. Una civiltà tanto antica quanto misteriosa, scolpita in paesaggi trasfusi tra ciclopici monumenti, forti e austeri, e paesaggi esclusivi, dipinti da una natura segnata dall’acqua e dal vento, incontaminata e spettacolare. A parlare, quattromila anni dopo, sono segni indelebili di una civiltà profonda e illuminata come poche. Un pozzo senza fondo, dove ogni giorno emergono rivelazioni e studi inediti, capaci di fare nuova luce sull’antica storia del Popolo Sardo.

Tachicardia da Gorropu

Arrivare sul Supramonte di Orgosolo, roba da tachicardia emozi onale per chi ne ha la fortuna, è impresa ardua, ma non impossibile. Se ti affidi a guide esperte, tra sentieri e paesaggi mozzafiato, non sarà complicato capire le conclusioni inedite dello studio messo nero su bianco, e appena pubblicato, da una delle più grandi organizzazioni mondiali di ecologia e società, la British Ecological Society, la più antica società ecologica del mondo. Proiettarsi su quei tornanti radenti, incisi dal tempo intorno alla foresta di Montes, significa arrampicarsi sino alla porta segreta di un altro mondo. I profumi si toccano con mano, tanto sono intensi, l’aria è rarefatta quanto cristallina, la foresta tanto antica quanto rigogliosa. Se il cuore regge affacciatevi pure nel canyon più profondo d’Europa, in quella gola intrepida che qui chiamano da sempre Su Gorropu. Il Flumineddu, l’antico corso d’acqua che attraversa i versanti del Supramonte, in millenni, l’ha inciso come fosse una lama d’acciaio. Pareti di bianco calcare, strette e profonde, che squarciano quel mare di verde illibato che le circonda.

Nuraghe dentro il bosco

E, poi, su uno sperone arrampicato come una vedetta sulla montagna, si staglia quel monumento primordiale del popolo nuragico, baciato dal sole e dalla luna, quasi che quel calcare fosse catarifrangente. Lì, a 835 metri d’altitudine, si erge quello che i comuni mortali continuano a chiamare nuraghe Mereu. In realtà, tramandando significati profondi e antichi, gli abitanti del luogo, lo continuano a chiamare, come è giusto che sia, “Nuraghe intro ‘e padente”, “il nuraghe dentro il bosco”. Impossibile da intravvedere se si resta adagiati sul sentiero della foresta, sovrano e maestoso una volta arrivati lassù a due passi dal cielo. Un luogo intriso di rara bellezza, dove riconnettersi con la natura e il paesaggio è contemplazione, meditazione e ascolto. I toponimi del paesaggio qui non sono un caso: come niente lo è. Da Huvile Pistoccu a Huvile de S'Orada Hamposa, a Su Huvile Peleo a Su Huvile 'e Hapriles. Gli ovili qui, come nell’atavica storia millenaria della Sardegna, sono incastonati come quel nuraghe, mai a caso, studiandone orientamento ed entroterra, potenzialità agricole e agropastorali, scorgendo risorse naturali e ambientali, con il perenne sguardo rivolto al bene primario dell’acqua.

Ecologia & archeologia

Mai un caso. È qui, come in altre migliaia di esempi sparsi nella terra più archeologica del Mediterraneo, la Sardegna nuragica, che emerge l’intuizione che si fa studio, analisi, ricerca scientifica e applicata dove «L'ecologia incontra l'archeologia, tra servizi ecosistemici passati, presenti e futuri derivati dalla vegetazione della Sardegna nuragica dal 1700-580 a.C.» . In sintesi dove e perché i Sardi di quattromila anni fa si sono insediati, perché in quel versante, in quel tipo di vegetazione, con quale obiettivo economico e paesaggistico, con quale governo del territorio e dell’ambiente? Uno spaccato inedito con la sovrapposizione di oltre 5000 nuraghi su almeno 5 tipi di areali, con caratteristiche uniformi e distribuite in tutta l’Isola. Una mappa capace di leggere a ritroso le scelte “paesaggistiche” e urbanistico-ambientali dei sardi antichi, di interpretarne la “governance” con l’uomo che diventava regolatore di un equilibrio naturale ed economico del territorio. Insomma, un vero e proprio architetto della pianificazione ambientale, urbanistica ed economica del territorio, scegliendo gli areali dove mettere a frutto l’ambiente, radicandosi laddove risorse naturali e paesaggistiche consentivano di modellare la Sardegna ad immagine e somiglianza delle ambizioni del proprio popolo.

British Ecological Society

La ricerca, firmata da autori sardi e stranieri, è da qualche giorno nella home page della più importante accademia ecologica del mondo, la British Ecological Society, certificata da un guru mondiale dello studio climatico ambientale come Charles Watkins. Lo studio è molto più di una lezione moderna di urbanistica e governo del territorio. Ne emerge uno spaccato storico talmente innovativo da segnare un nuovo orizzonte per l’analisi dell’imponente lascito identitario, culturale e ambientale della civiltà nuragica. Lo dicono gli stessi scienziati che hanno firmato lo studio: «Incorporare l'archeologia nel quadro dei servizi ecosistemici può offrire ai decisori lezioni dal passato e una più ampia prospettiva di sostenibilità» . Come dire, per disegnare il futuro della Sardegna bisognerebbe prendere esempio dalla storia del suo antico popolo. Uno studio reso possibile dall’immensità del patrimonio archeologico unico in un'area ad alto valore di biodiversità, rendendo sovrapponibile l’analisi dei luoghi di insediamento nuragico rispetto alle peculiarità della variegata natura dell’Isola. Lo studio ha incrociato la mappa delle «Vegetation Series» , le tipologie di ambiente, natura e paesaggio, con la posizione dei nuraghi, consentendo agli studiosi di acquisire una prospettiva a lungo termine sulle interazioni tra i nuragici e la vegetazione come fornitore di ecosistemi. Un’analisi in grado di far comprendere il passato e il presente, e potenzialmente informare le pratiche future per il governo territoriale della regione. In pratica i sardi antichi, da quel che emerge dallo studio, sono stati capaci di interpretare gli “usi possibili” dell’ambiente e adattarli alle esigenze di crescita e sviluppo. Dall’approfondita analisi emerge la dinamicità del patrimonio ambientale, quasi plasmato, sino a renderlo paesaggio agro-silvopastorale, com’è, per molti versi, arrivato ai giorni nostri.

Suolo e nuraghi

I risultati sono dirimenti: «Gli ecosistemi di derivazione vegetale rappresentarono un volano nelle strategie di occupazione del suolo delle genti nuragiche, che preferirono, per i loro insediamenti, la sughera mesofila e secondarie, che, con condizioni climatiche fresche su substrati fertili e dolci pendii su rocce magmatiche effusive, fornivano terreni per il pascolo e l'agricoltura». L’osmosi che emerge dall’analisi è uno scambio reciproco tra uomo e ambiente: «le strategie nuragiche di occupazione del suolo hanno modellato le «Vegetation Series», trasformando il paesaggio in sistemi agro-silvo-pastorali» . Scrivono i ricercatori: « I nostri risultati suggeriscono che l'origine degli attuali paesaggi agro-silvo-pastorali in Sardegna potrebbe essere fatta risalire alla civiltà nuragica. L'interazione tra uomo e vegetazione in Sardegna è antica, reciproca e dinamica».

Le pratiche migliori

Il quadro che emerge dallo studio è quello di una best practice del passato, carica di significati per il futuro:«Questi paesaggi sono un buon esempio di relazioni intime e sostenibili tra le persone e la natura e forniscono un marcato senso del luogo e dell'identità per gli abitanti della Sardegna». Un approccio interdisciplinare che «collega l'ecologia con l'archeologia, consentendo una migliore comprensione delle impostazioni ambientali e della sussistenza della civiltà nuragica, una prospettiva a lungo termine sulle interazioni uomo-vegetazione».

Vegetation series

È stata la traslazione con metodo scientifico di archeologia e ambiente a sancire la correlazione tra i luoghi prescelti per l’insediamento nuragico e le caratteristiche naturalistiche del territorio. Un lavoro certosino su oltre 5.000 nuraghi riportati negli areali delle «Vegetation Series» calcolando il numero medio di nuraghi che ricadono all'interno di ogni area vegetale. Il risultato è esemplare: il posizionamento del 75% dei nuraghi coincide con cinque tipologie territoriali-naturalistiche molto simili sul piano ambientale.

Niente a caso

Dunque, niente a caso. I sardi antichi per posizionare i loro nuraghi sceglievano prevalentemente areali forestali di «lecci sardi termo-meso-mediterranei» e due diversi tipi di latifoglie caducifoglie. Metà dei nuraghi (2.352 nuraghi su 5.453) sono stati rinvenuti nelle due «Vegetation Series» appartenenti alla sughereta «Querco suberis». Non un dettaglio visto che già 4000 anni fa i sardi, sono state rinvenute delle tracce, usavano il sughero per isolare i nuraghi. La conclusione dello studio è illuminante: «Tre principali attività rurali sono praticate contemporaneamente in un unico spazio: la raccolta dei prodotti forestali, l'allevamento del bestiame e l'agricoltura. In questo contesto, il collegamento archeologia- ecosistemi può aiutare a comprendere l'origine dell'attuale paesaggio sardo, suggerendo che probabilmente i nuragici promossero la formazione di queste formazioni simili a savane» . Lo studio, firmato da Marco Malavasi, Manuel Bazzichetto, Stefania Bagella, Vojtěch Barták, Anna Depalmas, Antonello Gregorini, Marta Gaia Sperandii, Alicia TR Acosta, Simonetta Bagell a, ora viaggia nel mondo. Una straordinaria lezione nuragica per il futuro, dove l’uomo è protagonista del suo ambiente.

© Riproduzione riservata