Confermato l'ergastolo per Innocent Oseghale, il giovane accusato di avere ucciso e fatto a pezzi la diciottenne Pamela Mastropietro nel gennaio del 2018 a Macerata.

L'imputato non era presente in aula al momento della lettura della sentenza. C'erano invece i genitori della giovane.

Il processo d'appello bis a Perugia ha riguardato solo il reato di violenza sessuale ed è stato trasmesso nel capoluogo umbro per questioni procedurali dopo che la Cassazione aveva definitivamente confermato la condanna per l'omicidio. 

La sentenza era molto attesa: se l'aggravante della violenza sessuale fosse caduta Oseghale avrebbe potuto ottenere una riduzione della pena, cosa che temeva la madre Alessandra Verni, che oggi indossava in aula una maglietta con la foto della figlia.

La conferma della condanna all'ergastolo è stata avanzata dal sostituto procuratore della Repubblica di Perugia Paolo Barlucchi in apertura della sua requisitoria. «Oseghale ha ucciso Pamela, se fosse qui gli direi: tu l'hai uccisa, tu sei un omicida. Si parte necessariamente da qui» ha sottolineato il magistrato. Secondo il quale «in quella casa c'è stata violenza sessuale e durante quella violenza sessuale Pamela è stata uccisa».

«Pamela non era una prostituta» ha detto ancora Barlucchi. «C'è una verità nella sua vita - ha aggiunto - che è la sofferenza psichica, la sofferenza nei rapporti familiari, la sofferenza che ti dà la dipendenza da eroina. Nessun giudizio morale su Pamela, ma comprensione, affetto e una fredda e lucida valutazione su quello che dicono le carte e i fatti. Pamela ha usato il suo corpo perché non sapeva che altro fare, era sola, aveva fame, era scappata la mattina, era all'estremo non sapeva dove andare, era in astinenza da eroina».

«Pamela era nelle mani di Oseghale - ha evidenziato - lui con la cessione dell'eroina la teneva al guinzaglio. Oseghale inizialmente ha negato di aver avuto rapporti sessuali, lui ha negato perché nel farlo l'ha uccisa. La cura di Oseghale nel lavare le parti del corpo di Pamela nelle quali aveva infierito per ucciderla e che potevano essere rivelatrici, sia della somministrazione della droga, sia del rapporto sessuale, fa comprendere la sua necessità di non lasciare traccia di sé. Oseghale ha pensato di avere a che fare con una tossica persa e invece ha trovato una ragazza che concedeva il suo corpo solo per necessità. Non ho dubbi che c'è stata una violenza sessuale e che c'è stata una opposizione di Pamela che non immaginava di incontrare un brutale assassinio».

I testimoni citati per il processo sono stati sentiti a porte chiuse. A deciderlo è stato il presidente della Corte d'assise d'appello, Paolo Micheli, accogliendo la richiesta di uno di loro.

Si tratta, in particolare, dei due uomini con i quali Pamela ha avuto rapporti dopo avere lasciato la comunità dove si trovava e prima di essere uccisa.

Nella richiesta di essere sentito a porte chiuse il legale del testimone ha parlato della necessità «di tutelare la riservatezza del testimone che è stato già vittima dell'indesiderato clamore mediatico connesso alla vicenda e la sicurezza dello stesso».

Applausi e grida di gioia da parte del pubblico in aula alla lettura della sentenza.

(Unioneonline/v.l.)

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