L'Italia resta in arancione o rosso fino alla fine di aprile, con spostamenti vietati in tutto il Paese, bar e ristoranti, cinema e teatri, palestre e piscine chiuse, niente visite a parenti e amici in zona rossa e possibili in zona arancione all'interno della regione una sola volta al giorno e in un massimo di due persone. Deroghe per ripristinare le zone gialle anche prima del 30 aprile ci sono, ma solo se i dati lo consentiranno.

Il consiglio dei Ministri approva il nuovo decreto anti Covid in vigore dal 7 aprile (IL PROVVEDIMENTO) con due importanti novità: l'obbligo di vaccinarsi per tutto il personale che opera nella sanità, farmacisti compresi, e lo stop alla possibilità per i presidenti di Regione di emanare ordinanze per chiudere le scuole.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha mediato così tra l'ala rigorista della maggioranza, che non voleva neanche il riferimento alle possibili deroghe, e le forze politiche, Lega in testa, che spingevano per le riaperture: non ci sarà l'allentamento subito dopo Pasqua ma ci sarà la "verifica" sui dati, che potrebbe portare a riaperture anticipate con una semplice delibera del Cdm.

LA POLEMICA - Il decreto scatena l'ira dei territori: "Per la prima volta i sindaci e i presidenti di Provincia non sono stati consultati né informati sulle misure contenute nel testo - dice Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell'Anci - Devo dire che in un momento così delicato per il Paese tutto ci aspettavamo tranne che una frattura nella collaborazione istituzionale".

"Non ci sembra proprio un buon inizio nel rapporto con i territori e le comunità locali - aggiunge -. Eppure da oltre un anno noi sindaci ci siamo distinti per responsabilità e leale collaborazione istituzionale, mettendo sempre la nostra faccia anche su provvedimenti e scelte non direttamente ascrivibili alle competenze delle amministrazioni locali. Vorrà dire che chiederemo ai ministri di venire a spiegare il provvedimento per strada e nelle piazze dove fino a oggi eravamo noi a fare da bersaglio alle legittime proteste dei cittadini".

VACCINI E SCUOLE - Il decreto è composto da 12 articoli. Due sono dedicati alle norme per i medici, per frenare i casi di sanitari no vax che rifiutando il vaccino possono contagiare i pazienti delle strutture dove operavano, e proteggere dalle eventuali conseguenze penali migliaia di somministratori. Il governo ha previsto che non debbano rispondere di omicidio e lesioni personali colpose tutti i vaccinatori che nel somministrare le dosi del siero seguano le regole indicate dalle autorità sanitarie. Per "tutelare la salute pubblica", inoltre, tutti coloro che operano nelle strutture sanitarie e nelle Rsa pubbliche e private, nelle farmacie e nelle parafarmacie e negli studi professionali - dunque anche i dipendenti amministrativi - "sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita".

Immunizzazione che "costituisce requisito essenziale all'esercizio della professione" tanto che, in caso di rifiuto, scatta lo spostamento a "mansioni anche inferiori" che non comportino la diffusione del contagio e il conseguente taglio di stipendio. Che viene invece sospeso qualora non sia possibile il trasferimento. Il provvedimento verrà revocato nel momento in cui i sanitari no vax cambino idea, al completamento del piano vaccinale o comunque entro il 31 dicembre del 2021.

Quanto alla scuola, stabilita non solo la presenza fino alla prima media in zona rossa - e fino alla terza media in arancione, con le superiori in presenza al 50% - ma anche uno stop al potere delle Regioni sulla scuola: i governatori non potranno cambiare questa scelta, come invece era loro stato consentito finora da tutti i Dpcm precedenti. La misura, dice il testo, "non può essere derogata da provvedimenti dei presidenti di Regione o delle province autonome".

(Unioneonline/D)
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