L’assassino di Chiara Poggi non si è lavato le mani. Ne sono convinti i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e la Procura di Pavia che stanno lavorando a una ricostruzione alternativa dell’omicidio di Chiara Poggi.

E cadrebbe così uno degli elementi che hanno portato alla condanna definitiva di Alberto Stasi, le cui impronte sono state trovate sul dispenser di sapone nel bagno. Secondo i giudici che lo hanno condannato Stasi si sarebbe lavato le mani dopo aver ucciso Chiara e avrebbe pulito lo stesso dispenser e il lavabo, su cui non furono trovate tracce di sangue.

Gli investigatori, che tentarono di riaprire le indagini già cinque anni fa, segnalarono che era vero sì, come accertato dal Ris, che il lavandino del bagno del piano terra era «privo di tracce ematiche», ma che «è impossibile che il lavandino e il dispenser» siano stati «lavati accuratamente dall'aggressore». E ciò perché su quel dispenser, oltre alle due impronte di Stasi, vennero repertate «numerose impronte papillari sovrapposte» che sarebbero state «cancellate» in caso di lavaggio. Vi fu trovato pure Dna di Chiara e della madre (che era in vacanza e mancava da quella casa da una settimana), altro elemento che dimostrerebbe che non venne ripulito. Infine, una fotografia scattata nei primi sopralluoghi mostrava la presenza di 4 capelli neri lunghi (mai repertati), alcuni vicino allo scarico e ciò indica, per inquirenti e investigatori, che «il lavandino non è mai stato lavato dalla presenza di sangue». Altrimenti sarebbero stati «portati via dall'acqua». D’altronde, che ci fossero le impronte di Stasi su quel dispenser è normale, visto che la sera prima era stato a casa di Chiara e i due avevano mangiato una pizza.

Uno scenario, insomma, completamente diverso da quello ricostruito dalla sentenza che ha portato alla condanna di Stasi. E in questo quadro gli investigatori inseriscono pure quell'ormai nota impronta 10 sulla porta d'ingresso dell'abitazione, in particolare sulla parte interna, che si ritiene potrebbe essere stata lasciata dall'assassino prima di fuggire.

Gli esiti di una nuova consulenza dattiloscopica su quell'impronta 10, però, hanno indicato che non è di Sempio (a cui è attribuita la 33 sul muro delle scale vicino al corpo), né di Stasi, né delle gemelle Cappa, né degli altri amici di Marco Poggi.

Tra gli investigatori sta maturando la convinzione che il delitto potrebbe essere stato commesso da più persone

C'è poi da capire se l’impronta numero 33, quella attribuita a Sempio, fosse sporca di sangue. C’è un problema, agli atti manca il “para-adesivo” della traccia papillare 33, che potrebbe dare risposte sulla presenza di sangue. Da qui la ricerca per quest'ultima dell'intonaco che fu grattato all'epoca, nella speranza, per inquirenti e investigatori, di effettuare nuove analisi biologiche alla ricerca di sangue. Tra l'altro, anche un frammento del tappetino del bagno sarà tra i tanti reperti che saranno analizzati nel maxi incidente probatorio genetico. 

(Unioneonline/L)

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