«Mi ha infilato un coltello in bocca e ha cercato di tagliarmi la lingua». Emanuele Ragnedda non batte sul tasto della legittima difesa: ha già ammesso di aver «fatto la scelta sbagliata. Potevo andarmene, invece ho fatto la scelta peggiore». Ma le sue dichiarazioni agli inquirenti – che continuano a trapelare, frammentate – forniscono elementi utili per ricostruire quanto successo nel casolare di Conca Entosa, tra Arzachena e Palau, prima che esplodesse il colpi di pistola che hanno ucciso Cinzia Pinna, 33 anni, di Castelsardo. 

«Ho anche provato a rianimarla», ha aggiunto Ragnedda. A confermare un quadro dove il raziocinio  sembrava del tutto perso, anche a causa dell’abuso di droghe. 

Se un perito ha confermato la presenza di alcune ferite d’arma da taglio sul braccio del reo confesso – un coltello per affettare il prosciutto – per verificare la veridicità delle altre sue  affermazioni sulla dinamica del delitto potrebbero essere utili le risultanze della Tac effettuata questa sul corpo della vittima dal medico legale Salvatore Lorenzoni, alla presenza di Ernesto D’Aloja  – perito nominato dal legale di Ragnedda, Luca Montella – e dei familiari della ragazza. Sarebbe emerso che un colpo di pistola l’avrebbe raggiunta al volto. I proiettili non sono stati trovati.  

Un ulteriore esame dovrebbe essere effettuato mercoledì, mentre l’autopsia potrebbe essere fissata per il giorno successivo. E non è escluso un ulteriore sopralluogo a Conca Entosa. 

Vanno avanti intanto le indagini per identificare eventuali complici di Ragnedda, che lo avrebbero aiutato nei giorni successivi all’omicidio e all’occultamento del cadavere. 

Persone – l’attenzione si concentra su due donne e un uomo – che potrebbero essere state nella casa del delitto, dove era impossibile non notare tracce di sangue e confusione, e aver aiutato l’assassino a far sparire prove importanti. 

  

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