Aree idonee, il mistero delle deroghe facili
Nel testo del Disegno di legge proposto dalla Giunta spunta il raggiro dei finti vincoli: basta una relazionePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Una legge, o meglio una proposta, carica di misteri e buchi neri, sotterfugi e infinite insidie. Ogni passaggio del Disegno di Legge, approvato per adesso solo dalla Giunta Regionale, è un susseguirsi di deroghe e contraddizioni, dallo sposare in pieno il Decreto Draghi a contraddirlo con norme declinate senza alcun supporto giuridico. La premessa di fondo, anche nell’esame di dettaglio del provvedimento, non può, però, mai sfuggire al primo vulnus: per le norme nazionali, suggellate dalla Corte Costituzionale, le aree «non idonee» possono diventare «idonee» attraverso procedure ordinarie, anziché accelerate.
Norme aleatorie
Il mero esercizio normativo di una legge che declina i dettagli su aree «idonee» e «non idonee» risulta, dunque, un passaggio di fatto inutile, perché nessuna indicazione contenuta nel provvedimento potrà mai essere stringente. Un dato emblematico scandito da un presupposto ineludibile: ogni ipotesi di «divieto» contenuta nella definizione di aree idonee risulta totalmente aleatoria, anzi censurata, proprio perché esclusa dalla legge cardine a cui si uniforma, il Decreto Draghi appunto. In pratica, tanti “fuochi d’artificio”, ma nessuna concreta misura in grado di arginare e fermare realmente la “scalata” speculativa ai danni della Sardegna. Se, come detto, il limite di fondo della consonanza tra aree idonee e non idonee, ripreso in toto dal testo varato dall’esecutivo di Viale Trento, è esplicito e preordinato rispetto ad ogni singola previsione normativa, l’articolato del provvedimento è, invece, la cartina tornasole di passaggi che appaiono ai più contraddittori e oscuri.
Capitolo “deroghe”
Tra tutti c’è sicuramente l’articolo 3 del Disegno di legge: quello riservato al capitolo spinoso e ambiguo delle «deroghe». Nel disposto normativo regionale, il soggetto, destinatario o richiedente la deroga, cambia repentinamente ad ogni comma. Si parte con «i Comuni», ma, lungo i dodici “capoversi” legislativi, con un salto carpiato, si arriva al “cambio” della definizione, nominale e sostanziale, del richiedente la deroga, trasformandolo, come se niente fosse, nella più ampia previsione di «soggetti». La disposizione del comma uno dell’articolo tre risulta un coacervo di contraddizioni. L’assunto integrale della norma recita: «I Comuni possono proporre un’istanza diretta alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili all’interno di un’area individuata come non idonea ai sensi della presente legge quand’anche implichino variazioni degli strumenti urbanistici». Il primo quesito è conseguente: sono i Comuni che presentano istanza di deroga per realizzare un impianto pubblico di eolico o fotovoltaico, o sono considerati solo dei “passacarte” di società private e multinazionali che, attraverso gli enti locali, chiedono la deroga alla Regione?
Spuntano «i soggetti»
Che la risposta sia scontata lo si evince dal comma cinque dello stesso articolo dove si dispone: «I soggetti che presentano istanza di realizzazione degli impianti da fonti di energia rinnovabile, ivi inclusi gli impianti di accumulo, devono presentare prima del rilascio del provvedimento autorizzativo, una polizza fideiussoria a garanzia della corretta esecuzione dell’intervento dell’impianto medesimo». In un batter d’occhio, dunque, i Comuni sono sostituiti da “soggetti” che devono presentare fideiussioni. Insomma, un “trappolone” legislativo che punta a far passare la speculazione attraverso un viatico comunale, da sancire, però, attraverso la clausola successiva: «L’istanza di cui al comma 1 è proposta all’Assessorato degli Enti Locali, Finanze e Urbanistica.Sull’istanza delibera la Giunta regionale, sulla base dei criteri individuati ai sensi del comma 3». In pratica, i Comuni diventerebbero, secondo il testo varato dalla Giunta regionale, “passacarte” della richiesta di deroga, ma a decidere, poi, sarebbe comunque viale Trento.
Castello di sabbia
Anche in questo caso la norma regionale proposta è surreale quando arriva a prevedere che la «deroga» venga data anche «quand’anche implichino variazioni degli strumenti urbanistici». Che l’impianto normativo proposto al Consiglio Regionale rischi di trasformarsi in un modesto castello di sabbia lo si può evincere dal passaggio successivo: «L’istanza (quella di deroga n.d.r.) deve essere accompagnata, oltre che da studio di fattibilità che identifichi e valuti le alternative progettuali o dal documento di fattibilità delle alternative progettuali, qualora non siano disponibili progettazioni di maggiore dettaglio, da una Relazione generale, che motivi la deroga al divieto di installazione nelle aree non idonee alla luce degli obiettivi di transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi energetici».
Divieto “paravento”
Insomma, un «divieto» superabile con una mera «Relazione generale», più che di un «divieto», dunque, si tratta di un modesto paravento, eliminabile senza troppi fronzoli. Che l’impostazione del provvedimento sia totalmente filo “draghiana” lo si evince dal persistente richiamo «agli obiettivi di transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi energetici». Un mantra che richiama persistentemente gli obiettivi del Decreto Draghi e il suo “ramo” funzionale varato lo scorso giugno con il Decreto Fratin sulle aree idonee, grazie all’avallo e all’intesa formale del Presidente della Regione, assegnando alla Sardegna una quota minima di 6.200 megawatt di energia rinnovabile, più del triplo di quello necessario e dovuto. Senza parlare della follia dei 54.000 megawatt già richiesti a Terna per la connessione elettrica, energia sufficiente per oltre cinquanta milioni di abitanti.
Essere o non essere
Nel testo del Disegno di legge, però, si possono trovare anche “perle” da far invidia allo stesso Decreto Draghi. Al comma sette dell’articolo 1 spunta fuori una norma che lascia comprendere il grado di confusione che regna sovrana nel sistema congegnato per definire «aree idonee» e «non idonee»: «Qualora un progetto di impianto ricada su un sito ricompreso sia nelle aree idonee di cui all’allegato F, sia nelle aree non idonee di cui agli allegati A, B, C, D ed E, prevale il criterio di non idoneità». A prescindere dalla dichiarata preminenza riservata al criterio di «non idoneità» appare quantomeno “estroso” affermare che la stessa area possa essere nel contempo «idonea» e «non idonea». Un passaggio che non lascerà certamente indifferenti i Giudici chiamati eventualmente a decidere su eventuali contenziosi sulla prevalenza o meno dell’idoneità di quell’area.
Bluff su offshore
Sul piano propagandistico non è da meno il comma nove dell’articolo 1 dove si afferma che «sono aree non idonee alla realizzazione di impianti off-shore quelle ricadenti nelle acque territoriali». Peccato che tutti i progetti presentati siano a un metro fuori dalle acque territoriali, ovvero a dodici miglia. Una disposizione che dà il via libera alla devastazione del mare sardo, considerato che nel disposto successivo si afferma che «sono aree idonee per la realizzazione delle opere di connessione a terra degli impianti off-shore esclusivamente le aree portuali, le aree industriali, ovvero le aree degradate non oggetto di piani di riqualificazione». In pratica una norma che accoglie e rende possibile in toto le ipotesi di sbarco in terra sarda dei signori del vento di mare. Anche in questo si propone un’altra fantasiosa definizione di «aree degradate», senza alcun richiamo a delimitazioni e individuazione preventiva di criteri. Ignorato del tutto l’approdo del “cavo guinzaglio” del Tyrrhenian Link, che dovrebbe sbarcare a Terra Mala sulla costa quartese. In questo caso, se valesse la stessa disposizione dell’approdo dei cavi off-shore, si dovrebbe codificare quell’area come «degradata», giusto per far contenti i signori di Terna.
Soldi vecchi
Infine, c’è il capitolo risorse, quelle destinate alle Comunità energetiche. È stata spacciata come la vera rivoluzione su cui puntare per la transizione ecologica indolore. In realtà non solo non ci sono disposizioni concrete per attuarle, disciplinarle e favorirle, ma le risorse richiamate nel testo del Disegno di legge appartengono più a un “riciclaggio” di risorse già stanziate che a nuovi stanziamenti. Se all’articolo 2 della proposta della Giunta si annuncia pomposamente una promozione delle comunità energetiche, ad una verifica della provenienza delle risorse finanziarie ci si accorge che sono tutte previste già dagli anni passati. A partire dai 50 milioni previsti per il 2025 ma «già autorizzati per le medesime finalità» con la legge del 21 febbraio 2023. Come dire nessuna risorsa nuova sotto il sole e il vento di Sardegna. Ultima annotazione: la legge 5 del 3 luglio 2024, l’inutile e famigerata moratoria, in base al comma 11 dell’articolo 3 della proposta della Giunta, è abrogata. Spazzata via pavidamente, senza onori. È già tempo di “avanti un’altra”.