“Mance? Da rivedere”. Il Forrest Gump dei tempi odierni, corre su due ruote e ha il giubbino catarifrangente: “Scusi, devo scappare, è arrivato un ordine”.

Il quartier generale è sotto un cielo che sa di notte di mezza estate, a due passi dalla statua di Carlo Felice: è lì che si ritrovano i rider prima di disperdersi tra le strade della città in regime di lockdown soft. Un quarto d’ora prima delle 18 sono in dieci, un quarto d’ora dopo raddoppiano, e mentre le serrande di chi non fa asporto vanno giù una appresso all’altra, i display dei cellulari richiamano al dovere: i cagliaritani hanno fame.

Ma loro sono pronti, già in sella ai motorini piazzati sulla griglia di partenza. E anche noi, che per due giorni li seguiamo in moto durante le consegne, così scopriamo che c’è chi supera anche i duemila e cinquecento euro al mese, “lavorando ogni giorno, pranzo e cena”, chi sogna di diventare un grande psicologo e chi fa la rider per pagarsi gli studi di canto lirico.

“Faccio il rider dalla fine del lockdown scorso, ma nel tempo perso, dopo che rientro dalla biblioteca”, precisa Alessandro Nigro, 21 anni, studente di Economia: è di rientro da viale Bonaria, dove ha consegnato cibo asiatico, che insieme ad hamburger e patatine sembra andare per la maggiore.

“Stipendio? In base alla distanza della consegna”, racconta l’esercito dei fattorini del cibo a domicilio. Il veterano del gruppo ha 48 anni, due figli, i capelli brizzolati e un passato in tipografia: “Mio padre l’ha aperta e io sono stato costretto a chiuderla”, racconta Andrea Idda. Così ha bussato alle porte - virtuali - di una delle piattaforme del food delivery, dove il curriculum non conta e l’anno di nascita neppure.

“Il pane a casa lo dovevo portare. Alla mia età è l’unica occupazione che ho trovato”. La lucetta sul display lampeggia: è arrivata una nuova richiesta, tocca a Kevin Masala, 21 anni, che il rider lo fa a tempo pieno. “Tutti i giorni, pranzo e cena, pioggia compresa”. Malattia, ferie e infortuni sono voci non contemplate nella vita dei rider, ma sembrano prenderla con filosofia: “Domanda di riserva?”, scherzano mentre mostrano gli imprevisti del mestiere impressi sulla pelle.

Come Francesco Di Salvo, vent’anni e una grande cicatrice sulla gamba: “Beh, qualche caduta o incidente bisogna metterlo in conto”; le mance no, quelle vanno decisamente a rilento rispetto alla velocità con la quale sfrecciano nelle stradine secondarie: perché il tempo è preziosissimo. Così la mattina seguente, quando torniamo in piazza Yenne, li troviamo tutti lì, coi motorini accesi e gli occhi incollati sui display dei cellulari.
© Riproduzione riservata