Il nome in codice nei tabulati della Nato è esplicito: Condor. Difficile farlo passare inosservato, ovunque posi i suoi 73 metri di apertura alare e 69 metri di lunghezza. Un gigante dell’aria, o meglio “il” gigante, visto che l’atlante dei cieli non lascia adito a dubbi: l’Antonov 124-100 è l’aereo cargo più grande al mondo. Nella sua “pancia-stiva” è capace di ingerire di tutto, aerei, elicotteri, treni, carri armati e ogni “male” che l’industria bellica mondiale gli ordini di far volare da una parte all’altra del mondo. Del resto, non ha bisogno di un distributore ad alta quota per muoversi da un oceano all’altro.

Record di volo

Nel 1987 stabilì il suo record mondiale: 20.151 km con un solo pieno, 25 ore e 30 minuti in volo con un peso al decollo di 455.000 chilogrammi. È figlio ingegneristico dell’antica Unione Sovietica, la sua produzione, però, per ragioni logistiche, è rimasta nell’enclave dell’Ucraina dopo il dissolvimento della terra di Stalin e prima dell’invasione russa. Fu progettato negli anni ‘70 per accelerare guerre e invasioni, per far volare senza perdere tempo ogni genere di strumenti di morte. Nasce come braccio volante della grande potenza militare sovietica, talmente potente, però, da far gola alle flotte aeree del mondo intero.

Russo per la Nato

Non è un caso che questo pachiderma dei cieli ora sia al servizio nientemeno che della Nato: «trasporto strategico» recitano i contratti con le appendici occidentali di quella che fu l’ammiraglia russo-ucraina. Gli stessi aerei che la Nato e gli americani hanno noleggiato dalla «Salis Gmbh» sin dagli anni 2000 per lo sbarco dei mezzi pesanti per la guerra in Iraq e Afghanistan. Aerei civili, in teoria, dediti, però, ai carichi più devastanti, quelli di morte. La prima grande differenza rispetto ad un cargo tradizionale è nei tracciati radar: vietato conoscere decollo e atterraggio, negato l’aeroporto di partenza, peggio quello di arrivo. Nessuno, oggi più che mai, deve sapere quando e dove. I messaggi in codice sono riservati solo alle strutture essenziali, torri di controllo al massimo, servizi di sicurezza allertati con discrezione.

Sotto copertura

Quando il mastodontico dinosauro dei cieli incrocia le diagonali per Cagliari-Elmas sa bene che la prima regola della missione sarda è la segretezza. Nessuno o quasi deve sapere il motivo di quell’atterraggio sulla pista 14 dello scalo cagliaritano dedito da sempre a viandanti dalla rotta breve, nonostante l’odissea della continuità territoriale. Quando gli imponenti tratti somatici dell’aereo russo prestato ai traffici di guerra a livello mondiale si affacciano sul proscenio di Santa Gilla sono le 11.30 del 24 gennaio.

Deserto a Elmas

Per l’atterraggio il quadrimotore sconosciuto ai radar sceglie una delle tante fasce orarie destinate al “deserto”. Nessun aereo all’orizzonte, come si addice ad uno scalo sempre più in balia dei monopoli di Stato. Il dispaccio interno è per pochissimi: «aereo con dimensioni eccedenti la categoria assegnata è destinato allo stand 22 dello scalo di Cagliari Elmas». Niente hangar per operazioni “segrete”, ma un’area appartata, «Apron Sud». Il passaparola è blindato: il gestore aeroportuale bloccherà totalmente quello spazio «per le operazioni di carico dell’aeromobile in questione». È la prima rilevante conferma che il cargo non è atterrato in Sardegna per consegnare tardive strenne natalizie.

Stiva vuota

La stiva è vuota quando atterra, ma è stracarica quando decollerà il giorno dopo, come previsto da quel “pizzino” di sicurezza nelle sole mani del vertice aeroportuale. Ci vorranno lunghe ore per quel carico pesante e dalla destinazione in quel momento ancora sconosciuta ai più. Niente occhi indiscreti a vigilare, con un mandato pieno alla security interna: impedire a chiunque di avvicinarsi all’area vietata. Di certo, però, l’allerta non è solo nel sedime aeroportuale. Quello che sta succedendo all’esterno, lungo tutto l’asse interessato all’operazione, è ancora una volta affidato a tracciati aeronautici.

Caccia in volo

È accertato, per esempio, che tra il 24 e il 25 gennaio, l’elicottero da guerra Leonardo AW139 ha sorvolato a lungo sulle pendici del Marganai, a ridosso della fabbrica tedesca di bombe dislocata nel territorio di Iglesias-Domusnovas. Un tracciato a vortice, con decine di giri sull’intero compendio dell’Iglesiente e ripetuti atterraggi nella base aeronautica di Decimomannu. Non è passato inosservato nemmeno il caccia da guerra “Alenia Aermacchi”, il “T-346A”, impegnato in un presidio aereo senza precedenti sul tratto di costa, a bassa quota, tra Carloforte, Portoscuso, Iglesias e Buggerru, con incursioni sul fronte interno sino a Villacidro, sorvolando l’intera catena del Marganai. Rotte apparenemente senza un perché, fuori dalle basi militari, tra coste e centri abitati. Tutto inspiegabile, se non fosse per quel potenziale carico “esplosivo” che dal 2015 non compariva sullo scalo “civile” di Cagliari, trasformato senza alcuna premura in un’enclave militare “pubblica” e “privata”. Per avere l’ennesima conferma su tragitto e missione si è dovuto attendere il decollo del mezzo aereo . Poco prima delle 14.00 del 25 gennaio, secondo le disposizioni aeronautiche e di sicurezza.

Mission Mar Rosso

Il velivolo ha lasciato l’Isola con una direzione sconosciuta: il transponder, il segnale satellitare, ha per tutta la missione indicato un codice N/A, destinazione non dichiarata. Dopo aver sorvolato l’Egitto, circumnavigando alla larga il Mar Rosso e la Striscia di Gaza, costeggiando i confini dell’Arabia Saudita, alle 20.28, ora italiana, l’aereo ha toccato il suolo della Al Reef Base, l’aeroporto militare di Abu Dhabi, direttamente connessa con l’hub aeroportuale della capitale degli United Arab Emirates. Lo stesso scalo dal quale, sino a tre anni fa, decollavano i caccia da guerra degli emiri che, insieme a quelli sauditi, hanno scaraventato migliaia di bombe, le micidiali MK prodotte in Sardegna dalla tedesca Rwm, sulle povere e indifese popolazioni dello Yemen. Il carico dell’Antonov è secretato, ma la gestione dell’intera operazione sarda verso il Medio Oriente lascia pochi dubbi.

Via libera alle bombe

Il Governo italiano, nell’ultimo Consiglio dei Ministri prima delle ultime vacanze estive, era fine luglio 2023, aveva dato il via libera alla ripresa delle forniture belliche dalla fabbrica tedesca di Domusnovas a due dei Paesi più guerrafondai dell’area calda della penisola araba, l’Arabia Saudita e appunto gli Emirati Arabi Uniti. La motivazione con la quale la direzione dello UAMA, l’Ufficio del Ministero degli esteri che autorizza l’export bellico, aveva bloccato quel fiume di bombe verso quei due Paesi era stata messa nero su bianco: violazione delle norme sull’esportazione di armamenti verso Stati in guerra.

Strumenti di morte

La legge 185 del 1990 in effetti non lascia adito a dubbi: è vietato per l’Italia fornire “strumenti di morte” agli eserciti stranieri dichiaratamente in guerra. Con una “intempestività” da primato, il Bel Paese, alla vigilia del conflitto in Medio Oriente, apparentemente conseguente all’attacco del 7 ottobre scorso di Hamas ad Israele, ha nuovamente autorizzato il viavai di bombe tedesche, prodotte in terra sarda, verso un’area geografica dove si rischia da un momento all’altro un’escalation militare incontrollabile e senza precedenti. Una sfrontata pressione per gli affari e gli incassi delle industrie belliche ha, quindi, riaperto un fronte che, oggi più che mai, sta rimettendo la Sardegna al centro di un traffico di bombe e droni senza precedenti.

Affari trasversali

Il “trasversalismo” bellico dell’industria tedesca in terra sarda non guarda in faccia nessuno: in un sol colpo sono in grado di fornire le micidiali bombe Mk sia agli amici che ai nemici di Israele. Non ci vuole molto ad attualizzare lo scacchiere mediorientale rispetto al traffico di bombe prodotte in Sardegna. Sia Arabia Saudita che Emirati Arabi non possono certamente essere considerati alleati di Israele, anche se combattono gli Houthi nello Yemen, a loro volta ispirati e sostenuti dall’Iran. Dall’altra la Rwm di Domusnovas che gode di un accordo commerciale e produttivo per la moltiplicazione dei micidiali droni d’attacco su licenza della potentissima industria bellica israeliana Uvision per la produzione di quel velivolo “intelligente” capace di puntare e devastare un bersaglio a centinaia di chilometri di distanza.

Sardegna snodo di guerra

Un’escalation bellica che sta trasformando, nel silenzio di tutti, l’aeroporto di Cagliari, e dunque la Sardegna, in un vero e proprio ulteriore presidio militare. Un’operazione scandita da un inizio d’anno serrato, dall’atterraggio ad Elmas, ai primi di gennaio, dei tre aerei cargo americani, i Grumman C-2A, in dotazione alla portaerei più grande del mondo, la USS Gerald R. Ford, di stanza nel Medio Oriente, al cargo “russo” con un nuovo carico “esplosivo” destinato all’inferno del Mar Rosso. Dunque, la Sardegna, ancora una volta, e sempre di più, suo malgrado, crocevia degli affari di guerra e di morte. Dal Marganai al deserto di Abu Dhabi il passo è breve. Questa volta in aereo. C’è fretta, la guerra incombe.

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