Enzo Biagi aveva chiesto che ad accompagnare il suo addio al mondo nel borgo bolognese di Pianaccio di Lizzano in Belvedere, dove era nato nel 1920, risuonassero le note di "Bella ciao", in onore della stagione partigiana di cui fu protagonista sull'Appennino nelle fila di Giustizia e Libertà. E a salutarlo, insieme alla famiglia, ai colleghi giornalisti, alla gente comune e a personalità della società italiana, sono accorsi anche i compagni sopravvissuti a quella stagione irripetibile, che è rimasta la bussola di tutta la vita successiva di Enzo Biagi.

Dalla battaglia partigiana a quella delle parole, usate, come ebbe a dire il collega Indro Montanelli, in modo sapiente e incisivo, lungo una carriera giornalistica di oltre 40 anni, tra radio, carta stampata e tv.

"Avrei fatto il giornalista anche gratis: meno male che i miei editori non se ne sono mai accorti", diceva Biagi scherzando ma non troppo, perché scrivere e raccontare la storia, la cronaca e i suoi protagonisti è stata per lui un'esigenza, dai tempi di Epoca al Telegiornale Rai, dal Resto del Carlino a La Stampa, passando per Corriere e Repubblica, e poi ancora la tv con l'invenzione di RT Rotocalco Televisivo, dove, per primo, parlò di mafia e citò i boss Provenzano e Riina.

Una narrazione senza fine dell'Italia e del mondo, proseguita fino all'ultima trasmissione di successo targata Rai "Il Fatto", interrotta bruscamente nel 2002 dopo il cosiddetto "editto bulgaro" di Berlusconi, all'epoca premier, che da Sofia apostrofò le trasmissioni di Biagi, Luttazzi e Santoto come "un uso criminoso della televisione pubblica".

Biagi sarebbe ritornato sul piccolo schermo cinque anni dopo, riproponendo il format di "Rotocalco Televisivo", pochi mesi prima di morire per un edema polmonare.

(Unioneonline/b.m.)

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