Tornare a casa, anche se in famiglia, non è sempre facile, soprattutto dopo anni di silenzio, bugie e sparizioni. Francesco si decide al grande passo forse perché sente di non avere più altre possibilità. Quando ritrova la famiglia che ha lasciato improvvisamente da quattro anni ha capelli lunghi, il corpo smagrito, lo sguardo perso. Al suo fianco c’è Aria, una ragazza enigmatica con un sorriso delicato e un segreto negli occhi. È lei che accompagna Francesco nel percorso più difficile: quello della redenzione.

Anche la casa da cui Francesco è partito è però nel frattempo mutata. La famiglia di Francesco ha imparato a sopravvivere alla sua assenza: la madre ride ancora con la stessa tenerezza, il padre parla poco ma cucina come se fosse un modo per ricucire i rapporti, e poi c’è Gillo, il fratello maggiore che un tempo avrebbe dato tutto per proteggere Francesco. Ma Gillo oggi è cambiato. Ha eretto muri per difendersi, ha scelto il silenzio, ha giurato a sé stesso che certe cose non si perdonano. Così, tra le pareti domestiche e la fabbrica di fuochi d’artificio che ha segnato il destino della famiglia e dove si lavora la scialacca (una resina usata nei fuochi pirotecnici), le tensioni latenti tornano a galla. Antichi rancori, parole taciute e un amore che non ha mai davvero smesso di bruciare. Perché a volte, tornare non basta. Serve trovare il coraggio di restare, di ricucire e di redimersi.

La copertina del libro

In Scialacca (Sperling & Kupfer, 2025, pp. 320, anche e-book) Kristine Maria Rapino ci racconta una storia di rabbia, delusione, fratture famigliari e dell’anima. Una storia che è anche un percorso di rinascita e di redenzione. All’autrice abbiamo chiesto quale è stato lo spunto per questo suo nuovo romanzo:

«Le mie storie nascono da fratture. Da punti interrogativi. Seguono l’intonazione ascendente del dubbio. Quelli che muovono questo romanzo hanno un’origine composita. C’è la mia esperienza come volontaria tra i senza fissa dimora di Pescara. Uno di loro si chiamava Francesco, come il protagonista di Scialacca. Tossicodipendente, scelse di porre fine alla sua esistenza tre giorni prima di entrare in comunità. Ho provato a scrivere un epilogo diverso per lui: tornare dalla sua famiglia, fare i conti con il senso di colpa. Il perdono può davvero aprire una nuova strada?».

I suoi romanzi sono ambientati in Abruzzo...che legame ha con la sua terra?

«Non è mai solo uno sfondo. Nel primo romanzo, Fichi di marzo del 2022, c’era un pastificio ai piedi della Majella, qui ci spostiamo idealmente sulla costa del Vastese: dune trattenute da ciuffi di camomilla marina, incapaci di opporsi al vento che le modella e le costringe a mutare forma. L’Abruzzo conserva ancora una natura selvaggia, indomita, e in questa forza riconosco le mie stesse urgenze. Tengo vive le tradizioni, amo il mio dialetto. Ma ho anche una visione costiera, aperta alla modernità, insieme ai 2912 metri di speranza della nostra cima più alta, il Corno Grande. Lo sguardo di un abruzzese trova sempre una vetta cui aggrapparsi».

A quale dei personaggi del suo libro è particolarmente legata e perché?

«A Francesco. È lui che restituisce carne e volto agli invisibili cui dedico il libro. In strada ci si abitua a vederli come categoria, non come persone. Francesco ricorda che dietro ogni volto c’è una traiettoria deviata. E che il male peggiore è non accorgersi».

E gli altri personaggi?

«C’è Gillo, suo fratello, che ha creato un’azienda di fuochi pirotecnici: mestiere che dona gioia alla gente, ma anche molto pericoloso. Anni fa una donna, moglie e madre di due vittime dello scoppio di una casamatta, mi disse: ‘Tra i fuochisti, la morte va messa in conto’. Ci ho riflettuto a lungo. Quanto si può rischiare per la felicità degli altri? E poi c’è Aria, con albinismo oculocutaneo. Un personaggio che nasce da una mia fragilità: la difficoltà a espormi al sole dopo un melanoma. Mi sono avvicinata allo studio dell’albinismo per curiosità, ne è nata una trasformazione. Durante le ricerche, ho incontrato l’associazione Albinit. Persone capaci di sublimare i propri limiti. Forse la fragilità non è mancanza, ma un altro modo di interagire con il mondo?».

Cosa rappresenta la fabbrica di fuochi d'artificio per la famiglia di Francesco?

«Per Gillo è un sogno prometeico: dare alla terra una luce pari a quella del cielo e del mare. Eppure, ‘per un fuochista conta solo il buio’, dice spesso, perché consente di godere della luce creata dagli spari, per cui anche il buio serve. ‘Artificio’ non identifica solo l’ordigno, ma anche l’espediente per creare illusione. I fuochi sono questo: un modo per credere che anche il dolore possa brillare».

Cosa rappresenta per lei la scrittura?

«La scrittura per me è riannodare fili. Se intrecciati, creano tessuto. Non sai più dove comincia il tuo filo e dove finisce l’altro. La scrittura serve a riconoscerci simili. A capire che nessuno si salva da solo».

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