Scrivere una biografia non è semplicemente narrare una vita, per famosa o avventurosa che sia. Per una scrittrice o uno scrittore significa penetrare nel profondo dell’anima del personaggio che si è deciso di ritrarre. Scrivere una biografia sotto forma di romanzo non vuol dire, infatti, ricercare quella verità, che pur irraggiungibile, rimane come obbiettivo dello storico. Alla scrittrice e allo scrittore tocca lavorare con il mito, con il fascino, con il carisma, ma anche con le fragilità e i vizi che ogni essere umano ha con sé come bagaglio per l’esistenza.

Ci vuole, quindi, delicatezza, pazienza, intuito per romanzare una vita e non cadere nell’agiografia o, peggio, nel vilipendio. Ci vuole lavoro di cesello, soprattutto su sé e si deve mettere un freno alla spinta - che tutti noi abbiamo - di mettere sé stessi al posto del personaggio che vogliamo narrare. Ci vuole maestria e buona educazione alla scrittura.

Sono doti che Sandra Petrignani dimostra una volta di più di possedere nel suo recente Carissimo dottor Jung (Neri Pozza, 2025, pp. 240, anche e-book), romanzo che ruota attorno alla figura di uno dei padri nobili della psicanalisi, ma non solo. Una prima protagonista del libro è, infatti, Egle Corsani, scrittrice che da sempre ha bisogno di un fiume da guardare alla finestra e di un romanzo da scrivere. Seduta nella veranda della sua nuova casa affacciata sul Tevere, è davvero pronta a tornare al libro che ha iniziato su Carl Gustav Jung. Dentro di lei la scintilla è scoccata dopo essersi imbattuta nella figura tormentata e conturbante di Christiana Morgan, paziente di Jung degli anni Venti del Novecento e sua seguace.

Egle immagina un ritorno di lei, trent’anni dopo la prima terapia, a Küsnacht, alla casa sulla sponda del lago di Zurigo che Jung stesso aveva costruito. Christiana vuole rivedere un’ultima volta l’uomo che aveva spento le sue paure, aiutandola a conoscersi e a perdonarsi. Lady Morgana, così la chiamava lui, lo trova come lo ha lasciato, la pipa fra i denti, lo sguardo arguto sopra gli occhiali cerchiati d’oro, solo la lieve curvatura delle spalle e il bastone a reggere il corpo ancora possente nonostante gli anni inesorabili. Perché, forse, ancora una volta, Jung saprà cambiare il suo destino.

La copertina del libro

Egle si guarda riflessa nelle pagine che si riempiono: nelle domande esistenziali, nella solitudine, negli aneliti di felicità di Christiana; nella pacata sicurezza, nel distacco partecipe di Carl. E in quel passo a due, la scrittrice trova una chiave per affrontare la sciagurata nostalgia per ciò che non ha più.

In Carissimo dottor Jung Sandra Petrignani mette in scena un immaginario incontro finale tra il padre della psicologia del profondo – uomo contraddittorio, paterno, impavido e incosciente dietro il monumento edificato dalla fama – e una donna fuori dal comune, decisa a seguirne le orme.

A Sandra Petrignani chiediamo qual è stato lo spunto che ha dato il via al suo racconto:

«Lo spunto è stato scoprire tanti anni fa, più di venti, che Carl Gustav Jung (lo leggevo perché ho fatto una lunga analisi junghiana) aveva due case amatissime sul Lago di Zurigo. Una a Küsnacht, molto borghese, dove viveva con la moglie e i cinque figli, e l’altra a Bollingen, che aveva costruito con le sue mani e l’aiuto di alcuni operai, molto spartana, senza acqua corrente né luce né gas. Era la casa dell’anima, dove si ritirava per stare completamente isolato. Pochissimi erano ammessi. Sono sempre attratta dai luoghi e in particolare dalle case dei personaggi che m’interessano».

Chi era nella realtà Christiana Morgan?

«Una psicoanalista americana che negli anni Venti del Novecento fu in analisi con Jung e fra loro si stabilì un rapporto molto forte. Nel romanzo immagino che Lady Morgana, come la chiamava lui, torni a trovarlo negli ultimi mesi di vita del grande terapeuta, suo Maestro anche per parlare di sé, di come affrontare la vecchiaia, dell’assillante problema della mortalità, del presente e del passato».

Quale filo unisce Egle a Christiana?

«Egle, che deve scrivere un libro su un personaggio enorme e discusso come Jung, un intellettuale potentissimo e un maschio seduttore seriale, diremmo oggi, ha bisogno di contrastarlo con personaggi femminili diversi che gli ruotano intorno. Insomma, direi che Christiana è un espediente narrativo più che un alter ego di Egle».

E quale filo unisce le due donne a Jung?

«La fascinazione che lui indubbiamente esercita. Ma anche una parte fragile di lui che entrambe conoscono e riconoscono, ed è a questa parte che si affezionano di più, perché è questa che gli permette di capire tanto intimamente la mente e l’anima femminile».

Veramente, come sostiene Jung "il senso della vita è la vita"?

«Credo proprio di sì. E, naturalmente, cosa ne facciamo. Perché oltre la vita, e forse prima, c’è un buio che proviamo a illuminare con ipotesi, non avendo la minima prova. Ma l’idea junghiana di un ciclo esperienziale, che va oltre la singola vita, si aggancia al mio sentire, ai miei studi buddisti della giovinezza, a esperienze altrimenti inspiegabili attraversate».

© Riproduzione riservata