La voglia di voltare pagina dopo quasi due anni di Covid è tanta. Altrettanta è la voglia di cancellare tutto, resettare. Farlo, però, non solo sarebbe ingiusto – soprattutto nei confronti dei tanti che hanno sofferto a causa della pandemia -, ma anche sbagliato perché abbiamo bisogno di ricordare per costruire al meglio il futuro in un mondo che si prospetta sempre di più diverso da quello in cui abbiamo vissuto fino a due anni fa. È questo il tema centrale attorno a cui ruota l’interessante saggio “Grammatica del nuovo mondo” (Lupetti, 2021, pp. 288) in cui il giornalista Filippo Poletti propone una lettura della svolta epocale che stiamo vivendo attraverso cinquanta parole chiave e altrettanti fatti di cronaca ad esse collegati.

A Filippo Poletti chiediamo allora si spiegarci prima di tutto perché considera il Covid portatore di un cambio epocale:

“Perché ha cambiato la nostra vita e il nostro modo di lavorare. Non è stata e non è ‘solo’ una tragica, anzi tragicissima emergenza sanitaria con a oggi più 260 milioni di malati nel mondo e oltre cinque milioni di morti. Il coronavirus è stato ed è una rivoluzione universale. Il coronavirus ha rappresentato e rappresenta, infatti, un cambiamento, radicale tanto quanto la prima, la seconda, la terza e la quarta rivoluzione industriale. Pensiamo, ad esempio, a come il coronavirus ci ha fatto riscoprire l’importanza della collaborazione tra le persone. Sul fronte del lavoro la pandemia ha accelerato la diffusione dello smart working: se nel 2019 i lavoratori a distanza erano mezzo milione, con il 2020 hanno superato la cifra di 6 milioni. Ero e sono convinto che il lavoro a distanza, laddove possibile, possa rappresentare un’eredità del nuovo mondo avviato nel 2020: come in tutte le cose la via di mezzo, un po’ in presenza e un po’ a distanza, è la soluzione lavorativa a mio avviso ottimale”.

Come è nata la scelta delle parole che compongono il suo libro?

“È nata seguendo i media e i social media. Il libro ‘Grammatica del nuovo mondo’ presenta quasi 400 note in cui riporto le fonti dei racconti presentati. A ciascuna delle 50 parole, infatti, è associata un’esperienza di vita. Il volume, sotto questo aspetto, vuole essere una testimonianza per l’oggi e il domani: intende, cioè, contribuire a mettere ordine alla memoria collettiva. Le 50 parole sono proposte alfabeticamente: si inizia con la A di Aurora per finire con la U di umanità. Come ha scritto lo psicanalista Luigi Ballerini nella postfazione, le pagine del libro vogliono essere un antidoto contro la rimozione. Di fronte a qualcosa di spiacevole come il coronavirus la tentazione della rimozione è fortissima. Rimozione coincide con ‘non ci voglio pensare’, ‘lasciamo stare’, ‘finiamola qua’. Come ci ha insegnato Freud, tuttavia, ciò che si rimuove ritorna, accompagnato in più da una sanzione. Parola dopo parola il mio libro intende essere un aiuto a passare dall’emozione di ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo al giudizio”.

La copertina del libro

A quale tra le parole della sua grammatica è legato particolarmente?

“La A di Aurora, una delle storie più belle dei tempi del coronavirus. È la storia di Aurora Maria Perottino, nata il 24 marzo 2020 a Moncenisio. Dopo anni in cui il secondo Comune più piccolo d’Italia, nonché il Comune più piccolo del Piemonte, non vedeva una culla riempita, mamma Jonida partorì questa bimbina. Il paese fece festa e una parte dell’Italia, leggendo la notizia, vide la luce risplendere nel tunnel della pandemia”.

Quale descrive bene il momento presente che stiamo vivendo?

“Diffidenza. Il distanziamento fisico ha seminato la paura di essere contagiati. Ciò che racconto nel mio libro è il venir meno, tutto d’un tratto, del galateo. Incrociandoci per andare a fare la spesa o in farmacia, abbiamo temuto e temiamo di avvicinarci troppo gli uni agli altri. L’augurio è che questo libro possa contribuire a razionalizzare questa paura e ad aprirci, nel rispetto delle norme di sicurezza, agli altri”.

Quale lezione ci deve lasciare la pandemia?

“Lo dice bene il grande filosofo Salvatore Veca nella premessa-testamento alla ‘Grammatica del nuovo mondo’, suo ultimo scritto prima della morte avvenuta purtroppo il 7 ottobre 2021. Gli uomini non sono i signori dell’universo: il mondo non è nostro. Lo slogan ‘una sola umanità, un solo pianeta’ va integrato con la riflessione che ‘non siamo soli’. Questa è la lezione della pandemia: apparteniamo alla comunità vivente. E in questa comunità c’è solo spazio per la prospettiva dell’ecologia radicale e della giustizia sociale”.

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