L’arte, il dono, la voce: ritratto del cantadore Bernardo Zizi
Nato a Onifai nel 1928 è stato uno dei massimi poeti improvvisatori dell’IsolaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
In lui la Sardegna riconosceva il respiro antico della parola cantata. Bernardo Zizi, nato a Onifai nel 1928 e vissuto a Macomer, è stato uno dei massimi poeti improvvisatori dell’Isola: voce autorevole, custode di un’arte che ha saputo attraversare decenni senza perdere il suo fascino originario.
Figlio di pastore, ha conosciuto la fatica della campagna e il rigore dello studio – il ginnasio a Nuoro negli anni della guerra – prima di salire per la prima volta su un palco il 14 agosto 1952 a Dorgali, accanto a Vincenzo Simula e Antonio Crobu.
Da quel momento, il canto improvvisato è diventato il suo passaporto per il mondo: Australia, Argentina, capitali europee e città italiane, ovunque i circoli sardi chiedessero di ricreare, lontano dall’Isola, la magia della gara poetica.
Il suo era uno stile inconfondibile, capace di reggere maratone memorabili: «Ho cantato per 44 notti consecutive da agosto a settembre», raccontava con orgoglio, ricordando un’epoca in cui le feste di piazza potevano durare due giorni interi.
Per conciliare il lavoro di fattorino alla Sita con le serate poetiche, aveva escogitato un sistema ingegnoso: due motociclette piazzate in punti strategici della Sardegna, pronte a portarlo in tempo sul palco. Poi la prima auto, una Topolino, e infine un fuoristrada giapponese a sette posti, per viaggiare insieme ai tenores.
Per Zizi, il poeta improvvisatore di un tempo non era un artista, ma un cronista, un “telegiornale” in versi. Andava nei paesi per raccontare i fatti accaduti, trasformandoli in canto, e la comunità riconosceva in lui una figura quasi sacra, “protetta e intoccabile”: «Il poeta non poteva neanche deporre in un processo».
Raccontava episodi che oggi sembrano leggende: in un paese della Gallura ancora privo di acqua e luce, i poeti erano stati accolti in piazza da una folla festosa. «Arrivarono alcuni bambini correndo – ricordava – e, toccandoci, dissero increduli: sunt ke nois. Forse pensavano fossimo extraterrestri».
C’erano poi le fermate del treno a Oristano, dove la sola vista della carrozza con i cantadores bastava a radunare decine di persone, pronte ad applaudire senza aver udito una parola.
Zizi rifiutava l’idea di “scuole” per l’improvvisazione: «A insegnare qui è madre natura, non servono gli insegnanti». La tecnica era per lui inseparabile da un talento innato, da coltivare con letture di ogni genere, curiosità, aggiornamento quotidiano.
Ricordava che la poesia estemporanea è stata quasi esclusivamente maschile. Due sole donne tentarono seriamente di salire su quel palco: Tzia Chiarina Porcu e Maria Farina, figlia del grande Antonio.
Aveva cantato con entrambe, ma sapeva che «sos poetas mannos non le volevano». Maria – diceva- non improvvisava: portava sul palco le poesie del padre, talvolta eseguiva qualche battorina, ma mai un’intera gara. Chiarina, invece, cercava di proporsi ai comitati, riuscendo di tanto in tanto a cantare: «Era brava – ricordava Zizi – e per me anche più brava di qualche poeta, il suo unico limite era quello di essere donna».
Prima di ogni esibizione, Zizi osservava la piazza, le persone, il loro umore. Su populu, come chiamano il pubblico i poeti, aveva «importanzia manna» e influenzava l’andamento della gara: «Cantiamo per noi stessi e per il pubblico, abbiamo una grande responsabilità davanti a questo». Non tutte le serate riuscivano: l’improvvisazione, ricordava, è un incontro fragile e irripetibile.
Già nel 2009 lamentava il calo di spettatori locali e la mancanza di giovani poeti, ostacolati dalla perdita della lingua in famiglia e dalla difficoltà di seguire gare interamente in limba. La scelta dei temi, a volte banale o troppo complessa, era motivo di frizione con i comitati. E amava citare la storia di due poeti a cui vennero dati come temi “filosofia” e “teologia”: senza studi specifici, il primo iniziò a parlare di fili, il secondo di tegole, tra gli applausi di un pubblico più attento alla musicalità che al contenuto.
Bernardo Zizi appartiene alla stessa stagione di Mario Masala e Antonio Pazzola, giganti di un’arte che nasce in piazza e vive nell’attimo della sfida. Con lui se ne va uno degli ultimi interpreti di un modo di fare poesia in cui cronaca, lirismo e improvvisazione si intrecciavano sotto lo sguardo vigile del pubblico. E resta il suo insegnamento: la vera gara poetica non si impara sui libri, ma si porta dentro, come un dono, fin dalla nascita.