C’è un’eco che ancora oggi risuona nei paesi della Sardegna: un grido secco, a tratti rabbioso, che squarcia l’aria come un colpo di tamburo. È il grido di Sa Murra, l’antico gioco delle dita e della voce, sopravvissuto ai millenni, ai divieti e perfino alla modernità.

Un gioco di origine mediterranea, conosciuto da Egizi, Greci, Etruschi e Romani – che lo chiamavano nobilissimus digitorum ludus, il “nobilissimo gioco delle dita” – diventato nell’Isola rito sociale, sfida di abilità, occasione di festa.

Due contendenti si fronteggiano, le mani scattano in avanti, le dita si aprono e la voce esplode. Non è un numero qualunque, ma quello che si ritiene sia la somma delle dita mostrate da entrambi. Vince chi indovina. Sembra banale, ma dietro ogni giocata c’è rapidità, intuito, capacità di leggere l’avversario e di confonderlo con la voce.

Sa Murra 'Sterzilesa (Foto Fr. Melis)

Il rumore è assordante. “Bàttoro!”, “Chimbe!”, “Sési!”, “Ottànta!” e “Murra!”. Numeri gridati per sovrastare l’altro, tanto che a distanza si confondono con latrati o richiami animaleschi.

Sa Murra si gioca solitamente in quattro, due contro due. Ogni coppia affida la propria sorte al ritmo dei compagni, sotto l’occhio attento dell’arbitro – su contadòre – che assegna i punti, richiama all’ordine e blocca i bari. Le partite si giocano in tre manche: andata, rivincita e “bella”. Di norma i punti da raggiungere sono 16, ma l’ultima sfida può arrivare a 21.

Il giocatore che conquista un punto prosegue, fino a quando non viene sconfitto; allora subentra il compagno. Se uno dei due è “in giornata”, l’altro si fa da parte: Sa mùrra la juhes tue – “oggi la Murra è tua, vai avanti tu”.

Sa Murra 'Sterzilesa (Foto Fr. Melis)

Ma non si tratta solo di numeri: la Murra è anche linguaggio creativo. In sardo i numeri si allungano, si deformano, diventano quasi poesia urlata: Bàttoro si trasforma in Barànta, Chimbe in Chimbànta, Ottu in Ottànta. Perfino il dieci non è mai “dèghe”, ma “Murra!”, urlato con tutta la forza dei polmoni.

Accanto ai numeri arrivano spesso le prese in giro: “A mìmmi!”, “Làssa!”, “Non tòrres!”. Ironia, sarcasmo, sfottò: ogni punto diventa spettacolo verbale, un teatro popolare fatto di voce, gesto e mimica. C’è chi tira le dita come una scure, chi agita il braccio come un cambio d’auto, chi sembra un duellante armato di spada.

A scaldare i giocatori non sono solo la foga e le urla, ma anche il cannonau e l’abbardente (acqua vite) e l’anice che girano generosi tra gli spettatori.

Sa Murra 'Sterzilesa (Foto Fr. Melis)

Paradossalmente, la Sardegna è ancora formalmente sotto il divieto di gioco imposto dalle leggi fasciste del 1931. Ma quel bando oggi è carta straccia: nessuno sull’Isola si lascia fermare da un anacronismo. Tornei locali, gare internazionali, partite improvvisate nelle feste: Sa Murra vive e resiste, tanto da essere entrata nel registro UNESCO delle Buone Pratiche per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale.

Sa Murra 'Sterzilesa (Foto Fr. Melis)

In fondo, Sa Murra è proprio questo: un duello urlato che non ha bisogno di palchi né di copioni, perché il suo teatro è la comunità stessa. È la Sardegna che resiste con la voce, che trasforma un semplice gesto delle dita in un patrimonio vivo e fragoroso.

© Riproduzione riservata