È un caso molto delicato quello che si sono trovate ad affrontare la Procura generale di Milano e la seconda Corte d'Appello di Brescia.

Tutto è partito da un messaggio, come ricostruisce il Corriere della Sera, scritto da un uomo prima di suicidarsi nel 2005 e lasciato in una stazione dei carabinieri per 13 anni.

La lettera fa riferimento a un processo per violenza sessuale: presunta vittima una bambina di quattro anni. La bambina sarebbe stata abusata dallo zio, che si è suicidato 13 anni fa, mentre il suo compagno è stato condannato in via definitiva per concorso nelle violenze. Avrebbe infatti fotografato gli abusi, commessi più volte.

Il processo, tra condanne e assoluzioni, ha avuto diverse fasi - i ricordi della bambina sono confusi e non del tutto affidabili, e mai furono trovate prove fotografiche dei fatti - fino a quando nel 2014 la Corte d'appello bis condannò l'imputato a quattro anni, sentenza confermata in Cassazione.

Ma in quella lettera, che ha convinto gli inquirenti a riesaminare il caso, il suicida scriveva di non aver fatto "niente di così schifoso: sono innocente, che mi crediate o no". "L’avvocato vada fino in fondo", proseguiva, e ancora, rivolto al compagno: "Mi sento in colpa solo verso di lui, che ho tradito, solo per questo".

L'uomo ora è libero, e tale resterà fino al giudizio di revisione della condanna definitiva.

(Unioneonline/D)
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