I n una vecchia barzelletta (ma poi ne esistono di nuove?) il parroco di una località turistica, preoccupato per la chiesa sovraffollata di villeggianti, ordina al sagrestano di non far entrare più nessuno. Di lì a un po' arriva trafelata una suora che giura di dover parlare con urgenza al sacerdote. Il sagrestano fa il duro ma la suora insiste e alla fine l'omaccione cede: «Ok, ma se la becco a pregare la pesto».

Difficile non ripensarci quando Salvini, in delirio mistico da sondaggio, propone di aprire le chiese ai fedeli almeno per Pasqua «magari un po' alla volta, in quattro o cinque». A parte la follia epidemiologica (tutti spaventati per i due passi dei bimbi sotto casa e poi sparpagliamo degli sconosciuti, magari anziani, in ambienti chiusi) e a parte il cinismo del Capitano che non rischia perché in quanto divorziato non fa la comunione, come li selezioniamo questi gruppetti? Come separiamo i fedeli dai fedelissimi? Col clic day o ci sarà un modulo per autocertificare la fede? Mettiamo Borghezio all'ingresso o chiamiamo le guardie svizzere? Sfidiamo il contagio in nome dell'identità cristiana mentre la Regione Lombardia a guida leghista, che tanto legiferò contro lo chador, impone di girare a viso coperto? Continuiamo a raccontarci barzellette vecchie: le nuove esistono, ma fanno pena.

CELESTINO TABASSO
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