Lingua inutile, anticaglia per maniaci del passato, noia mortale per gli studenti… niente di tutto questo! Il latino, nolenti o volenti, continua a essere sulla breccia nonostante da decenni si parli di abolirlo nelle scuole.

Per prima cosa negli ultimi anni si è avuta una crescita numerica degli iscritti ai licei classici in barba a chi continua a inneggiare alle irrinunciabili tre "I": Internet, Inglese, Impresa.

A questa si è aggiunta recentemente la notizia del boom registrato dai corsi che rilasciano certificazioni di conoscenza della lingua latina. Questi corsi sono frequentati sempre più spesso da studenti, delle superiori o universitari, che vogliono ottenere bonus per la maturità oppure crediti nei percorsi all'università. Oppure anche da chi vuole rafforzare il proprio curriculum lavorativo, dato che anche le aziende paiono apprezzare una buona conoscenza dell'idioma degli antichi romani.

Lo ha confermato Isabella Covilli, presidente dell'associazione dei direttori del personale, che in una recente intervista ha dichiarato: "Vediamo in modo favorevole la certificazione del latino in curriculum. Significa che il candidato ha la capacità di problem solving, sa affrontare, cioè, situazioni complesse e ha capacità logiche".

Insomma, il latino è radicato nella nostra cultura e nella nostra vita tanto che spesso lo usiamo senza saperlo tra carpe diem, dulcis in fundo e gratis a non finire.

A ricordarcelo, per esempio, è "Latin Lover" (Einaudi Ragazzi, 2018, pp. 96), bel libro per ragazzi di Mino Milani in cui ritroviamo una divertente passeggiata tra 100 detti e motti latini in uso nella nostra lingua.

E ce lo ricorda un vero e proprio paladino della lingua di Cesare e Cicerone, Nicola Gardini, docente di Letteratura italiana all'Università di Oxford e autore del volume "Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile" (Garzanti Libri, 2016, pp. 236).

A lui chiediamo prima di tutto cosa pensa della rinascita dell'interesse per il latino e del suo inserimento nei curricula da parte di tanti giovani.

"Non parlerei di rinascita. Il latino è il latino, come la biologia è la biologia. La distrazione e gli insulti degli inconsapevoli, quando non dei sabotatori, non fanno testo. Il latino non ha bisogno di noi, siamo noi che abbiamo bisogno del latino. Quanti più numerosi sono coloro che lo studiano e lo rispettano, tanto meglio sarà per questi e per la loro società".

Cosa è cambiato allora di recente?

"Certo è che si sta assistendo a una diffusione dell'interesse per il latino fuori dei circuiti scolastici. Lo studio del latino ha sempre trovato nella scuola il suo habitat più favorevole. E non poteva che essere così, finché alla scuola si è consegnato il compito principale di formare una classe dirigente e di consolidare una tradizione che in Italia, per lunga divisione politica, si è dovuta affidare agli organi del sapere più che alle strutture amministrative. Siamo in un momento della storia in cui certi monopoli possono ben cessare e la conoscenza di certe cose può espandersi dappertutto. Resta che la scuola – penso in particolare all'Italia – debba mantenere il suo compito di modello di istruzione e che questo modello includa l'insegnamento del latino".

Perché il latino è ancora importante a suo parere?

"Le cose essenziali sono importanti per molte ragioni. Il latino è l'origine della lingua italiana, oltre che di altre numerose lingue; ha elaborato sistemi di pensiero e di espressione che ancora regolano e determinano i nostri comportamenti, dalla letteratura alla giurisprudenza; il latino è un esempio supremo di linguistica, un codice complesso e raffinato che già di per sé merita uno studio scientifico, un punto altissimo della capacità umana di formulare immagini verbali… Lo studio del latino porta conoscenza: della lingua latina, delle lingue moderne, della letteratura etc.; così come lo studio della biologia porta conoscenza: delle forme viventi, dell'evoluzione, del senso della vita. Ma non si confonda la conoscenza con le competenze pratiche".

In che senso?

"Le conoscenze pratiche si possono acquisire senza riflessione, con la pura e semplice applicazione di certe direttive, seguendo un libretto di istruzioni o gli ordini di un capo. Se si confonde la conoscenza con le competenze pratiche, come molti stanno facendo (e perché lo stanno facendo meriterebbe di per sé una certa discussione), addio non solo latino, ma sapere tutto: addio musica, addio arte, addio fisica teorica etc".

Quali peculiarità oppure competenze in più ci può dare lo studio del latino?

"Chi studia il latino studia una lingua scritta di particolare complessità e di particolare ambizione espressiva, dove l'esattezza dei concetti va con la bellezza della formulazione. Chi studia il latino studia la mente di Cicerone, di Virgilio, di Seneca, di Tacito, di Catullo e di molti altri grandi scrittori. Studia, attraverso la civiltà di un mondo che ci ha dato l'Europa, un sistema cognitivo fatto di molti sistemi cognitivi, le varie opere e i vari autori, e impara a sviluppare il senso della storia, il rispetto della varietà e delle differenze, la profondità di qualunque parola, anche la più piccola, anche la meno interessante in apparenza, l'ironia, l'ambiguità, l'ambivalenza, la creatività. Chi studia il latino è principalmente impegnato nella più completa operazione mentale che si possa immaginare: il tradurre".

Tradurre è veramente importante?

"Quante abilità, quanta capacità mentale richiede il tradurre! Ci vorrebbe un partito dei traduttori, gente aperta a capire gli altri e a cercare l'armonia dell'intelligenza. Il latino è un'arte, e l'artista è la figura più umana, almeno in via di principio, che si possa immaginare. Chi mai avrebbe il coraggio o la faccia tosta o la pazzia – se non gli iconoclasti di Bin Laden – di dire che l'arte è inutile?"

Cosa si potrebbe fare per combattere la nomea del latino lingua inutile o, peggio, morta?

"La nomea gliela danno gli stolti, i violenti e i demagoghi, che nella nostra cultura di Internet hanno troppa voce in capitolo. Siamo arrivati a una divisione netta tra opinione pubblica e riflessione socio-culturale. Chi grida contro il latino, grida contro il sapere. Non ha argomenti, se non quello dell'inutilità, ridotto, per altro, a elogio dell'utilità pratica, a competenza pratica, a gesto meccanico. Occorre che chi un po' ancora si sforza di riflettere sul bene della società si faccia più avanti, trovi il modo di non essere sommerso dal vociare dell'opinione, che è distruttiva e autodistruttiva; telecomandata da ragioni malvagie di repressione e di censura.

In ogni caso, il latino non sta così male. Il liceo classico, secondo le ultime statistiche, attira più iscritti, i libri sul latino hanno lettori numerosi e appassionati (come il mio stesso 'Viva il latino', che ha aperto una vera e propria strada nel dibattito pubblico e nell'editoria), e un po' ovunque si stanno diffondendo iniziative che hanno per fine la promozione dell'antichità e delle lingue antiche".

Ma tutto questo basta?

"Possiamo cercare tutti di rendere più sensibile il mondo in cui viviamo: più sensibile alla bellezza delle cose complesse, alla lontananza, alla diversità. Sono valori che tutti coloro che credono nel sapere coltivano. Non a caso tra i più appassionati cultori del latino si trovano i fisici e i biologi. Un testo latino è un po' come un fossile o la luce di una stella: che scienza ci sarebbe senza queste testimonianze? Che senso del presente avremmo senza le origini che l'hanno prodotto? Impariamo a fare un'altra distinzione: a non confondere il presente con l'attualità. Il presente è fatto di un'antichità che nessun quadrante d'orologio sarà mai in grado di contenere".

LA COPERTINA DEL LIBRO DI MINO MILANI

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