Sono trascorsi 65 anni dalla scoperta del santuario di Monte d’Accoddi, enigma irrisolto della preistoria sarda.

Ercole Contu, 93 anni, è l’archeologo che indagò il cumulo sotto cui era sepolta la struttura, monumento senza uguali datato tra 3950 e 2700 a.C. Devoto soltanto alla religione della scienza, ricorda lo straordinario ritrovamento, ma non se ne fa vanto. "Che merito ho avuto? Qualcuno, prima o poi, ci si sarebbe imbattuto. Gli studi non sono strumento per affermare se stessi, ma per interpretare la realtà".

Così, nell’elegante salotto della sua casa sassarese, specchio della personalità e delle passioni di chi la abita, il professore emerito di Antichità sarde improvvisa una lectio magistralis in cui inanella storie della terra, rigorosi principi di metodo e perle di filosofia elaborate alla scuola dello scetticismo.

Monte d’Accoddi, nella sua carriera, è stato quindi un accidente, un frutto del caso? "Mi trovavo a Bologna, città nella quale mi ero trasferito dacché, laureato in Archeologia a Cagliari (nel 1958 mi sarei specializzato alla Scuola italiana di Atene), avevo iniziato a lavorare nella Soprintendenza, dov’ero retribuito semplicemente come operaio salariato. Oggi ci si lamenta perché in Sardegna ci sono tanti archeologi. Quando Antonio Segni, futuro presidente della Repubblica, allora ministro dell’Istruzione, volle si scavasse il tumulo che riteneva etrusco, posto su un terreno della sua famiglia tra Sassari e Porto Torres, in Soprintendenza eravamo io, Giovanni Lilliu e il Soprintendente classicista Gennaro Pesce. Risposi alla chiamata malvolentieri, certo di dover scavare un nuraghe in pessimo stato di conservazione tra i 270 della Nurra".

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