Ha sfidato il destino Gabito, come lo chiamavano gli intimi, vincendo il Nobel per la letteratura nel 1982. Correva il rischio di una precoce scomparsa dopo soli sette anni dall'ambito riconoscimento, come aveva scritto nel "Fantasma del premio Nobel (2) 1980" del "Taccuino di cinque anni. 1980-84". Ma non aveva che 55 anni e tra le mani ancora alcuni assi da calare, sebbene quello più prestigioso - "Cent'anni di solitudine" - lo avesse già giocato e con quello avesse vinto fama e fortuna.

Non è improbabile che il giorno del suo discorso svedese li abbia passati mentalmente in rassegna i tanti che, a suo giudizio, avevano vinto più o meno meritatamente quello stesso premio così prestigioso. A suo parere Grazia Deledda aveva trascorso dieci anni, quelli che la separavano dalla morte a partire dal giorno di Stoccolma, a convincersi di averlo davvero vinto lei, il premio, e non chi di lei era più meritevole. Che altro c'era da aggiungere dopo una frase così beffarda e definitiva, sulla quale aveva di certo aleggiato il suo sorriso sornione e lo sguardo ardente ma distratto?

Dopo tanti anni, per una serie di circostanze fortuite, si scopre che il suo giudizio fu rivisto. Non per simpatia, certo, per una scrittrice che non lo aveva convinto, ma per ragioni letterarie, per la possibilità che la stessa critica si dà di nuovi strumenti e riletture, e ciò che prima si sottovaluta può assumere poi un diverso merito. Fu l'incontro con Ignazio Delogu, l'ispanista algherese scomparso nel 2011, a fargli mutare idea, come afferma Antonangelo Casula, già sindaco di Carbonia e sottosegretario nel secondo governo Prodi. Casula, amico di Delogu e appassionato lettore di Marquez, che riferisce anche della professoressa Veronica Torres, come di altra fonte probatoria.

Che Delogu e Marquez fossero amici lo disse in tempi insospettabili Antonello Mattone. Era il 2007 e in un articolo sulla Nuova Sardegna, in occasione del premio letterario "Città di Sassari", Mattone scriveva di aver incontrato Delogu «al caffè Rosati di Roma seduto a un tavolino davanti a un Bitter Campari, a conversare animatamente e fraternamente con Gabriel Garcìa Marquez».

Un'amicizia confermata dal profugo cileno Hernan Loyola, docente dell'Università di Sassari, sempre sulla Nuova del 31 luglio 2011. Indubitabile, dunque, il rapporto amicale oltre al fatto che Delogu fosse uno dei suoi traduttori.

Non stupisce perciò che nel 1994, in occasione di un convegno deleddiano a Galtellì, Delogu avesse istituito un parallelo fra la scrittrice sarda e Gabriela Mistral, che, nella sua carrellata dei premi Nobel, Marquez non aveva collocato nel girone dei dannati. Il fatto è che la poetessa cilena il Nobel lo aveva vinto nel 1945 e con motivazioni molto simili a quelle deleddiane per non rimettere in discussione giudizi che se valevano per l'una avrebbero dovuto valere per l'altra, stante la diversità dei generi praticati.

E se a Galtellì Delogu parlava di Deledda e di "finis Barbagiae" riferiva anche di Mistral e di "quell'autentico finis terrae che è il Cile" ma già Marquez aveva lodato Mistral in "Scritti costieri. 1948-1952" e sempre lì, in "Elegia", ne aveva fatto la figura di spicco.

Troppe le convergenze fra le due donne perché non fossero oggetto di appassionata discussione: biografiche, di formazione, tematiche e di 'contesto', secondo l'analisi di Delogu. Come non credere alla testimonianza di chi dice che il giudizio sia stato rivisto?

Due donne straordinarie e intraprendenti, estimatrici di D'Annunzio, tanto da indurre la cilena ad assumerne il nome, mosse dal desiderio di narrare il proprio popolo, sebbene dentro generi e correnti differenti, ma pare ovvio. Che su Deledda il giudizio di dipendenza dai moduli del Naturalismo sia mutato a favore di un discorso più articolato è elemento a vantaggio di una maggiore contiguità fra le due scrittrici. Il dato finisce qui. Le scelte di genere impongono paletti per quelle linguistiche, dentro due lingue diverse per giunta. Ma interessa che infine Marquez abbia rivisto il suo aspro giudizio originario.

Angela Guiso
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