Già oltre un secolo fa le ragazze ne facevano una bandiera di libertà. Stringendo i denti, e ancor più i libri al petto, studiavano la chimica, la fisica e la matematica con lo stesso spirito delle suffragette sulle barricate. Era quello il tempo di una grande fiducia nella scienza, dei progressi della meccanica e dell’elettricità, e dagli Stati Uniti all’Europa le élite aristocratiche e la borghesia industriale riservavano un occhio di riguardo all’istruzione scientifica. Non è un caso se a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento furono proprio le scienze ad accompagnare - dopo secoli di emarginazione - la scalata delle donne all’istruzione superiore, mentre cresceva il movimento per il riconoscimento dei diritti civili e politici. Ovviamente, va ricordato, si trattava perlopiù di giovani privilegiate, essendo analfabeta la stragrande maggioranza delle donne e della popolazione in generale.  

Le dottoresse sarde

Marie Sklodowska Curie - prima e unica signora a vincere due Nobel in due discipline diverse (fisica e chimica) e la prima a insegnare alla Sorbona di Parigi - è stata senz’altro la più grande di tutte; ma non c’è bisogno di andare lontano per trovare le loro storie. Anche in Sardegna le suffragette della scienza sono state tante, basti ricordare Paola Satta, di Thiesi, che a 25 anni - il 29 giugno 1902 - si laureò in Medicina a Cagliari. Era la prima dottoressa sarda. Due lustri dopo, nel 1913, all’Università di Sassari si laurea in Medicina anche Adelasia Cocco, sassarese, classe 1885: l’anno dopo sarà la prima donna medico condotto in Italia (col veto del prefetto, epperò col via libera del consiglio comunale, cominciò la sua carriera a Nuoro e a Lollove).

L’Università di Cagliari

C’è poi da annotare che - esattamente un secolo fa, negli anni Venti del ’900 - l’Università di Cagliari rappresentava in Italia un caso straordinario: l’Istituto di matematica, per esempio, era diretto da Pia Nalli, e due dei quattro ricercatori erano donne (Silvia Mathis e Giorgina Madia). Giulia Martinez era la direttrice dell’Istituto di mineralogia, Eva Mameli Calvino dell’Orto botanico, e Rita Brunetti dell’Istituto sperimentale di fisica, dove Teresa Mundula era l’aiuto e Zaira Ollano assistente.

Fatica e svantaggi

Basterebbe seguire l’esempio delle ragazze di fine Ottocento, le nostre trisavole che si erano fatte largo tra i banchi dell’Università. Non è vero dunque che la debole propensione delle studentesse di oggi per le materie Stem - ovvero scienza, tecnologia, ingegneria e matematica - sia una questione che ha radici antiche. Vero è che nasce da uno stereotipo di genere, dai condizionamenti sociali ed educativi che però sono questione degli ultimi decenni, quelli in cui, nonostante la conquista di una relativa parità (almeno sulla carta), le donne - anche se generalmente più istruite dei maschi - si sono ritrovate svantaggiate nei percorsi di carriera, nella retribuzione, nei carichi della cura familiare. Trenta su cento. Una netta minoranza, quella delle ragazze tra gli iscritti e i laureati in ingegneria e scienze. Un dato che salta ancor più all’occhio se si considera che in media le ragazze si laureano molto più degli uomini (60 a 40, ma in generale tendono a scegliere materie con sbocchi lavorativi di cura ed educativi); assai più dei due terzi dei laureati in discipline umanistiche e nel campo politico-sociale (sono, per esempio, l’81,1% in psicologia e addirittura il 93,9% nell’ambito dell’insegnamento).

Il sorpasso

Tante battaglie delle donne, ieri come oggi, passano per il potenziamento dello studio delle materie scientifiche, quelle che offrono migliori percorsi di carriera, riconoscimento del merito, parità salariale, e, quantomeno nei settori tecnologici, importanti retribuzioni. Le donne iscritte all’Università erano mosche bianche fino agli anni Venti (il 10% del totale degli iscritti); hanno fatto un balzo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta; hanno pareggiato gli uomini nell’anno accademico 1990-’91, fino a che nel 1992 le laureate hanno superato i laureati, tendenza che non è più cambiata. Tutto bello, peccato però che - se guardiamo alla scelta delle facoltà - viene fuori che le iscritte ai percorsi di studio scientifici sono passate dal 31,9% del totale delle studentesse nel 1950-’51, al 12,2% delle universitarie di cinquant’anni dopo, nel 1997-’98. Insomma, le donne laureate battono i colleghi maschi. Ma hanno dimenticato la lezione delle ragazze che, coi libri di scienza, rivendicavano pari diritti.

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