Conferenze, seminati, dibattiti, corsi di formazione, concerti, spettacoli teatrali, perfino la messa. Tutto in una lingua speciale e artificiale che è l’esperanto, capace di unire in un abbraccio perfino lo scrittore russo Mikaelo Bronstein e l’ucraino Eugenij Kovtoniuk. Succede al congresso mondiale numero 108 che si svolge a Torino e per una settimana intera, tra luglio e agosto, riunisce 1280 esperti di 67 Paesi e di cinque continenti.

L’evento si ripete ogni anno: nel 2022 a Montreal, in Canada, nel 2024 in Tanzania. Specchio della vocazione internazionale di una lingua inventata più di 130 anni fa per unire persone di culture diverse, forgiata dal medico polacco di origini ebraiche Ludwik Lejzer Zamenhof, morto a Varsavia nel 1917, con un messaggio ben chiaro: non ci sono italiani, francesi, tedeschi, russi, cinesi o indiani ma persone tra le persone. L’esperanto viene sviluppata tra il 1872 e il 1887. Oggi, pur considerata diletto per esperti, è la più conosciuta tra le lingue ausiliarie internazionali, parlata a livello globale da circa due milioni di persone.

Deve tutto al lavoro del suo fondatore, l’oculista linguista che sotto lo pseudonimo di Doktoro Esperanto, che significa “dottore speranzoso”, pubblica Unua Libro indicando 920 radici di parole che, combinate a poche regole, permettono di formare migliaia di vocaboli. Le radici si basano per lo più sul latino, ma anche su russo, polacco, inglese, tedesco. Zamenhof conosce tante lingue: il russo è la sua lingua madre anche perché la Polonia dove vive al tempo fa parte dell’impero zarista. Parla il polacco, studia il tedesco, l’inglese, lo spagnolo, l’italiano, il francese, il lituano, anche lo yiddish, il latino e l’aramaico. Non contento di questa grande padronanza ha l’idea di creare una lingua artificiale con l’ambizione che diventi universale, appunto l’esperanto.

Facile da apprendere per gli appassionati perché ha solo 16 regole da memorizzare, niente eccezioni, sostantivi in o, infiniti in i, aggettivi in a. Insomma, per gli esperantisti che peraltro contano pure su un’università internazionale una lingua a portata di tutti purché si studi un po’ e si condivida l’obiettivo fondamentale. «Non certo quello di sostituire le varie lingue, che costituiscono un’immensa ricchezza culturale per l’umanità, ma di essere strumento di comprensione tra i popoli su base egualitaria per la costruzione di un mondo di pace e fratellanza», come spiega la Federazione esperantista italiana riconoscendo la scommessa non facile del progetto. «Una lingua comune da sola non può raggiungere ciò che pare un’utopia, ma con la diffusione di una lingua al di sopra delle parti si può contribuire alla realizzazione di un sogno». Lo spirito del fondatore, emerso nel primo congresso del 1905, è più che mai vivo, come l’entusiasmo per una lingua che di fatto non è di nessuno e si pone perciò al di sopra delle parti. «Porta con sé una formidabile idea di pace, amicizia, di fratellanza. L’abbraccio tra l’esperantista russo e quello ucraino ne è una plastica dimostrazione», sottolinea con orgoglio la Federazione italiana anche alla luce del clamore suscitato dal saluto tra i due esperti ospiti a Torino, fuori dai condizionamenti dovuti alla guerra in corso.

Il congresso nel capoluogo piemontese, il quarto in Italia, pone come tema “Immigrazione, confluenza di valori umani”. La scelta di Torino è un po’ legata alla storia della città, terra di approdi prima dalle valli vicine, poi da altre parti d’Italia, dal Veneto come dal Meridione, e anche da varie aree del mondo. La riflessione nella sede del Politecnico mette assieme associazioni e gruppi vari come gli esperantisti ferrovieri, ciclisti, cattolici, atei, buddisti, vegetariani, apolidi, filatelici, matematici, fisici e via di seguito. C’è spazio perfino per il piccolo congresso dei bambini esperantisti, nel parco della Mandria, con tanti giochi all’insegna del rispetto della natura.

Gli appassionati sono molto attivi, segno anche della vitalità di questa lingua sopravvissuta a fasi molto critiche, per esempio durante la seconda guerra mondiale.

Concluso il congresso internazionale di Torino, il 5 agosto si apre quello degli insegnanti di esperanto, riuniti a Lignano Sabbiadoro, in provincia di Udine. Cinquecento esperti giunti da tutto il mondo a confronto fino al 12 agosto. «L’esperanto è per eccellenza la lingua della pace e del dialogo», sottolinea Brunetto Casini, presidente del comitato organizzatore. Accoglie una delegazione ucraina guidata da Nina Danylynk dell’università di Lutsk che dice: «Noi esperantisti ci battiamo per la pace, se la guerra distrugge il mondo rischiamo di perdere tutta la cultura che abbiamo». Ovunque, da Torino a Lignano Sabbiadoro, abbonda il colore verde che è quello della speranza e simboleggia l’esperanto con la sua utopia, tra tanti “saluton” che vuole dire ciao o “bonan matenon” che significa buongiorno se pronunciato al mattino perché nel pomeriggio è meglio “bonan posttagmezon”.​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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