La sua patria è Bologna ma Milano, grazie ai collezionisti che videro in prospettiva, è certamente la sua città d’adozione. Giorgio Morandi venne subito amato nel capoluogo lombardo che capì immediatamente l’originalità della sua ricerca pittorica. Con questo spirito Maria Cristina Bandera ha ideato la mostra  dedicata appunto a Morandi al Palazzo reale.  L’esposizione arriva a distanza di più di trent’anni dall’ultima rassegna, e vuole celebrare il rapporto tra la città e il pittore bolognese. Erano lombardi o vivevano a Milano i primi grandi collezionisti di Morandi come Vitali, Feroldi, Scheiwiller, Valdameri, De Angeli, Jesi, Jucker, Boschi Di Stefano, Vismara – parte delle cui raccolte furono donate alla città, e milanese era la Galleria del Milione, con la quale il pittore intrattenne un rapporto privilegiato. “Ritengo che non vi sia nulla di più surreale, nulla di più astratto del reale”, così il pittore parlava dell’arte che prediligeva. Solo apparentemente queste parole rappresentano un ossimoro, offrono invece la visione dell’artista sul reale.

Nella esposizione milanese si può scoprire una raccolta di circa 120 opere che ripercorre l’intera attività dell’artista bolognese, dal 1913 al 1963, attraverso prestiti eccezionali da importanti istituzioni pubbliche e da prestigiose collezioni private.

Il percorso espositivo segue un criterio cronologico con accostamenti che documentano l’evoluzione stilistica, 34 sezioni raccontano le varie fasi della pittura del maestro.

“Nei quadri di Morandi così apparentemente semplici, così rigorosi” scrisse Bernardo Bertolucci, “c’è sempre un luogo, un punto da cui spiare l’infinito, l’infinito anche di questa sua poesia così pacata, così sommessa”.

contentid/ZTZiNjJlN2EtOGRiZS00
contentid/ZTZiNjJlN2EtOGRiZS00

Tra cézannismo, cubismo e futurismo (1913-1918): un gruppo straordinario di sette opere antecedenti la stagione metafisica, quella più nota apre le prime due sale, incentrate sul contatto di Morandi con le avanguardie.

“Il clima della metafisica (1918-1919) in una delle sale più suggestive della mostra, con tre capolavori della Pinacoteca di Brera, del Museo del Novecento di Milano e della Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo” si legge nella presentazione.

Già nella seconda metà del 1919 la tensione metafisica si allenta: in sintonia con il “ritorno all’ordine”, anche Morandi ritorna alla realtà e alla tradizione accostandosi al gruppo “Valori Plastici”. Segna questo passaggio una sequenza straordinaria di opere del 1919 e 1920. Gli oggetti, tra i più comuni e desunti dalla quotidianità, ormai spogliati di ogni ambiguità o magia, lasciano le atmosfere rarefatte della metafisica per riacquistare una verosimiglianza prospettica e plastica. L’importante sperimentazione degli anni ’20 prosegue lungo tre sale, tra le più significative, in cui Morandi pone sulla scacchiera tutti i temi della sua pittura – paesaggio, natura morta, fiori – giungendo a una gamma straordinaria di soluzioni inedite su cui lavorerà tutta una vita.

“La tecnica dell’acquaforte, praticata con intensità in questi anni di definizione del suo linguaggio artistico, perverrà a risultati tra i più elevati del Novecento italiano. La sperimentazione nelle due sole cromie del bianco e nero serve a Morandi per testare anche in pittura la riduzione del colore a due tonalità fondamentali: in questi anni ’20 si verifica una progressiva conquista della pittura tonale, che non ha eguali, in Italia e Europa, in quel tempo”.

Gli anni ’30 si aprono con una significativa sala dedicata al paesaggio. Il tema è ricorrente sin dagli esordi e si alterna alla natura morta costituendone una sorta di contraltare, come per testare sul vero ciò che il pittore ricreava nella sua stanza.

“Si entra, quindi, nella grande sequenza degli anni ’40. Cinque sezioni centrali con più di trenta opere documentano una svolta nel percorso morandiano, un nuovo impulso di semplificazione che collega questa stagione a quella successiva, la conclusiva. Gli anni ’50 (1950-1959): gli anni ’50 avanzano lungo un cammino di progressiva semplificazione. La struttura compositiva, sempre più essenziale, è percorsa da impercettibili scostamenti geometrici e prospettici che rimandano alle astrazioni giovanili”.

contentid/OTc5YWZjMjEtMGFiOC00
contentid/OTc5YWZjMjEtMGFiOC00

Gli acquerelli (1956-1963): un’intera sala è dedicata alla grande stagione dell’acquerello – una sequenza di nove opere – praticata con intensità a partire dal 1956, concentrando in soli otto anni più di duecentocinquanta fogli. Gli anni conclusivi (1960-1963): negli anni ‘60, l’ultima stagione di Morandi, l’instancabile variare sui motivi mette in atto intuizioni sempre più complesse, in una stilizzazione formale ai limiti o dell’astrazione o della costruzione architettonica. Quindici opere significative, disposte Giorgio Morandi

Morandi 1890-1964, ideata e curata da Maria Cristina Bandera, per estensione e qualità delle opere è tra le più importanti e complete retrospettive sul pittore bolognese realizzate negli ultimi decenni.

© Riproduzione riservata