Tempi difficili per chi ha l’insulto facile, soprattutto quando crede di potersi nascondere dietro una tastiera. Si moltiplicano le inchieste, aumentano gli indagati per diffamazione: le offese social si perdono sempre meno nel mare del web, gli autori di testi lesivi dell’onorabilità, della dignità di chi viene preso di mira rischiano di ritrovarsi inchiodati alle loro responsabilità da odiatori gratuiti.

Gli insulti al runner

Un esempio concreto di come si possa restare impigliati nelle maglie della giustizia arriva dagli sviluppi della drammatica storia del ventiseienne aggredito mortalmente un anno fa dalla (poi) famosa orsa Jj4, mentre correva in una stradina della Val di Non. La fine di un giovane stroncato in modo così tragico non aveva fermato gli odiatori da smartphone: insulti e offese erano partiti da tutta Italia nei confronti di Andrea Papi, il runner che aveva osato addentrarsi nel bosco “incurante dei rischi”, come recitava uno dei tanti giudizi sommari sul web. I genitori del giovane trentino, pur piegati dal dolore, non sono rimasti fermi davanti alla folle ondata di fango sul figlio, giustificata dalla presunta difesa della libertà degli orsi. Così hanno presentata una denuncia circostanziata sulle offese ricevute che ha portato all’apertura di un fascicolo in procura: sono state appena chiuse le indagini e ora diciotto persone si ritrovano indagate per diffamazione via social. Se dovessero essere mandate a processo, dovranno comparire davanti a un giudice col rischio di una condanna solo per non essere riuscite a tenere a bada la voglia di sputare sentenze gratuite davanti alla platea del web.

La famiglia Cecchettin

Gli insulti social hanno colpito anche la famiglia Cecchettin, finita al centro di un’inquietante gogna mediatica dopo la morte di Giulia, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta che non accettava la fine della relazione. Padre e sorella della vittima sono stati costretti a presentare più denunce per fermare la spirale di attacchi diffamatori legati ai giorni successivi alla tragedia della ragazza. Elena Cecchettin si è addirittura sentita dire che “faceva una recita” davanti alla morte della sorella. «È spaventoso dover assistere a simili azioni davanti a una tragedia di questa portata», le parole del legale della famiglia Stefano Tigani. «Ogni attività denigratoria e diffamatoria posta in essere nei confronti di Gino ed Elena Cecchettin troverà pronta azione a termini di legge». Sul tema degli insulti social ha preso posizione la psicoterapeuta Stefania Andreoli: «Siamo tutti colpevoli per l’uso imbarazzante e francamente vergognoso che facciamo dei social».

Diffamazione sul web

Chi si avventura con troppa leggerezza nel mondo delle offese facili da web spesso non sa che corre rischi pesanti: in caso di giudizi diffamatori si cade nel reato previsto dall’articolo 595 del Codice penale, che prevede la reclusione da sei mesi a tre anni (oltre una multa minima di 516 euro). La diffamazione sui social viene legata ai cosiddetti “mezzi di pubblicità” che comportano un’aggravante. Per i giudici della Cassazione anche un messaggio postato all’interno di un gruppo limitato di amici ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. Si corrono rischi anche nel caso di ambienti ristretti come le conversazioni WhatsApp. Rischi che aumentano con il numero superiore, ma ancora relativamente limitato, dei contatti Facebook. La situazione peggiora con l’effetto moltiplicatore dei contatti nei social più “aperti”, tipo Instagram, TikTok o Twitter. Gli odiatori da tastiera farebbero bene a riflettere prima di avventurarsi in giudizi offensivi contro qualcuno: da quegli insulti possono nascere spiacevoli vicende giudiziarie.

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