Quando ai cagliaritani parli delle jacarande sembra di nominargli la Sella del Diavolo o Gigi Riva: glorie locali che i forestieri possono venerare, ci mancherebbe, ma è gradito che lo facciano con un pizzico di invidia, consapevoli di non poter mai arrivare al massimo grado di conoscenza intima. È interessante quindi che a mostrare la poesia dei fiori indaco come nessuno aveva fatto prima sia stato Dietrich Steinmetz, che è di evidentissime origini tedesche eppure col suo drone ha raccontato dall’alto via Dante in piena fioritura, in un’affascinante videoballata di pochi secondi che è rimbalzata via whatsapp di telefono in telefono.

E così pure le vie deserte in pandemia, o lo skyline metropolitano immerso nelle brume del mattino, o ancora altri sguardi aerei sui paesaggi metropolitani che fanno rima con gli scatti presi da terra per svelare dettagli minimi – urbani o umani – oppure macroscopici, ma tendenzialmente sempre sfuggiti all’attenzione dei più.

Il suo vantaggio è avere uno sguardo che l’abitudine non ha opacizzato. E in fondo non è strano. Era un bambinetto quando da Düsseldorf si ritrovò in una Sardegna pre-turistica che non esiste più: “Dai due ai sei anni ero a Villasimius. Tieni conto che la strada non c’era, l’hanno fatta nel ’65, fino ad allora si fermava a Solanas. Quindi Villasimius era un paradiso e io dai due ai sei anni ero lì: ho ricordi meravigliosi, sullo spiaggione io, mio fratello e basta”. Poi l’approdo a Cagliari a tempo per cominciare le elementari. Nell’adolescenza l’incontro con l’elettricità e poi l’elettronica (“Diodi, lampadine, matrici, giravo per gli immondezzai per recuperare televisori buttati da aggiustare per divertimento”) che lo condurranno all’informatica, il suo lavoro (“ma non vendo nulla: aggiusto. È più coerente con la mia linea ambientalista”). La penultima passione – che come le altre non rimpiazza le precedenti ma si aggiunge e si armonizza – è la militanza politica. A sinistra, abbastanza a sinistra perché prima o poi – considerate le radici tedesche e la passione per le foto volanti – qualcuno gli appioppi il nomignolo di barone rosso.

Come nasce la passione per la fotografia?

Tutto comincia con la prima campagna di Soru. Non avevamo modo di comunicare tutte le tante cose che c’erano da dire e così – erano gli inizi di Facebook - mi sono lanciato con la fotografia per fare campagna in quella maniera. Poi Legambiente: ne faccio parte da venticinque anni e anche lì foto, comunicazione e così via. Poi però mi sono reso conto che non potevo tenermi solo su questi temi, e visto che comunque cominciavano ad arrivare i primi riscontri e c’era chi apprezzava ho cominciato a seguire anche altri eventi. Però piccoli, volevo dare risalto a cose piccole. Ricordo un evento dedicato a “Baroni in laguna”: c’era un attore bravissimo, l’evento era bellissimo, entusiasmante, ma a seguirlo eravamo in tre. Mi sono detto: questa cosa è fantastica eppure nessuno ne saprà niente. Da lì ho deciso di seguire le piccole cose e dare risalto a questi momenti che il giorno dopo sarebbero stati già morti, o comunque passati. E quindi ho cominciato a seguire presentazioni di libri, minirappresentazioni, cose di piccole compagnie…

E i grandi eventi?

Me ne fregavo, quelli avevano già il loro risalto e i loro fotografi. Certo, alle cose come il Pride non puoi non esserci: è un grande evento popolare e urbano, non è che lo puoi ignorare. Dopo di che, girando girando, ho cominciato ad alzare gli occhi, a guardare la città e a fotografare delle cose. E c’era chi mi diceva: dai, ci passo tutti i giorni e non l’avevo mai visto! Ricordo una foto del Corso che prende di striscio tutti i palazzi illuminati in una certa maniera al tramonto, oppure il palazzo rotondo che c’è in via Garibaldi. E anche lì: “Accidenti, un palazzo rotondo, non lo avevo mai notato…”.  Il problema di chi nasce e vive in una città è che non guarda più in alto, dà tutto per scontato. Perciò quando fotografi il portone di palazzo Valdes con il lucernaio sopra stai fotografando una cosa che è a portata di tutti, eppure non la guarda nessuno. Ma vale anche per Is Mirrionis e Sant’Elia, non è che mi fermo al centro. L’unico limite che mi impongo è il divieto di ritocco, non uso photoshop. E poi non faccio foto di denuncia, se non molto raramente. Ci sono un paio di cose che mi danno fastidio, e anche molto: il Bastione con quella rampa di cemento sulle scale mi fa molto girare le scatole, per dire, e quella ogni tanto la ripubblico. Non serve a nulla, non ha nessuna funzione se non rovinare uno dei gioielli della città: toglila, no? Ma a parte casi così, le foto di denuncia e il racconto del brutto non mi interessano. Mi interessa la bellezza della città. 

Certi scorci.

Ma anche certi gesti. L’altro giorno pioveva e ho fotografato un commerciante che accompagnava una persona anziana che camminava con le stampelle e la proteggeva con un ombrellone quadrato, di quelli da bar. Sono queste le cose che voglio far vedere, i gesti di umanità. Esiste un tessuto di gentilezza e io lo voglio mostrare.

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Con una mentalità del genere forse sui social non ti troverai  a tuo agio.

E invece ti sbagli. Il riscontro che ho è positivo, anche perché nel mio caso non c’è granché da criticare: che fai, ti arrabbi per la gentilezza di chi accompagna una persona anziana sotto la pioggia? Poi sì, qualcuno che dice una stupidaggine può sempre esserci, ma basta non dargli corda e muore lì. 

A un certo punto passi al drone.

Un momento, prima c’era l’aquilone.

Come lo usavi?

Macchina fotografica appesa, andavo nelle spiagge e scattavo. Era un tre metri flowform, che tiene bene il carico perché funziona come un parapendio: si gonfia prendendo la forma del vento. Sono aquiloni da carico, ai primi del Novecento si usavano quelli da otto-dieci metri per mandar su una persona a guardare oltre le linee nemiche

D’altronde il vento in Sardegna non manca.

Sì, ma soffia sempre nella direzione sbagliata. Per scattare dovevi avere tempo libero, doveva esserci vento e doveva tirare nella direzione giusta. Complicato. E così dieci anni fa mi sono costruito il primo drone.

Lo hai fatto tu?

Sì. Era un tricottero, poi è diventato un quadricottero, poi è diventato un esacottero e adesso è una bestia così.

E a questo punto…

E a questo punto è poggiato lì, fermo.

Perché?

Perché con le nuove normative non è certificabile: è come se ti costruissi un’automobile e ci andassi in giro in città, mica puoi. Quindi uso dei droni commerciali certificati. Ho l’assicurazione, sono registrato, ho la patente base e quella per operare in area critica con droni fino a 700 grammi. Sono a posto anche con la burocrazia, insomma.

È tanta?

Ce n’è. E ci sono regole, soprattutto: la prima è che non puoi passare sopra gli assembramenti. Poi vedo gente che coi droni fa roba da galera e non è neanche assicurata, ma lasciamo stare.

Possono essere pericolosi.

Se li usi così lo diventano di sicuro, l’elica se ti prende ti affetta. Naturalmente possono anche servire molto. Io ho fatto la mappatura della città e quando è crollato quell’edificio dell’università è tornata utile: avevo le foto prima e dopo, così come avevo le foto di via Dettori prima del crollo.

Che cosa penseresti di un video girato col drone dall’intelligenza artificiale?

Il drone è già di suo un’intelligenza artificiale. Hai l’illusione di essere tu l’intelligenza perché lo mandi e decidi che cosa deve guardare, ma potrebbe farlo benissimo da solo. E la differenza è molto più sottile di quello che si può credere.

Passiamo alla parte paesaggistica. Generalmente tu pubblichi su Facebook.

Sì, ma non le cose che faccio col drone: quelle in gran parte non le diffondo o lo faccio tra poche persone di fiducia, è un capitolo che voglio usare più avanti.

Una mostra?

Me lo propongono spesso ma non mi sento pronto. Ho delle idee ma mi manca il tempo materiale per starci appresso. Se ne parla quando sarò in pensione, dai.

Nel frattempo potresti vendere le foto che fai.

No.

Perché?

Nel momento stesso in cui penso al mio lavoro in modo commerciale cambio completamente il punto di vista. “Si vendono i tramonti? Vado a fotografare i tramonti”. Capisci? Non va bene.

Quale tuo video faresti vedere a una persona che non conosce Cagliari?

Il prossimo. Lo sto per fare.

Che cosa sarà?

Sorriso. Silenzio

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