Specie protette finiscono sempre più nel mercato illegale alimentando una nuova frontiera del commercio criminale. Il traffico riguarda piante, come cactus e orchidee, al centro dei crimini ambientali non meno dei corni di rinoceronte o delle pelli di giaguaro. Gli esperti stimano un giro d’affari nell’ordine di diversi miliardi di euro l’anno, foraggiato da collezionisti di tutto il mondo avidi di mettere le mani sulle specie proibite, floreali o animali. La pandemia ha fatto lievitare il mercato, col traino anche dei social dove è più facile l’incontro tra venditori e acquirenti. Oltretutto sul web è esplosa la moda delle fotografie di piante rare e spettacolari. L’interesse per il commercio è crescente non solo in Europa ma anche in Giappone e in Cina.

A dare l’idea dell’entità del fenomeno e degli appetiti nascosti che muovono questo mercato c’è l’operazione Atacama che in Italia ha portato al sequestro di 1.100 cactus di dimensioni ed età diverse, compresi esemplari centenari. Tutte piante spontanee e protette, arrivate dal deserto di Atacama, nel Cile. Habitat particolare per cactus di cui è naturalmente vietata l’esportazione.

Da lì, invece, le piante hanno preso il volo attraverso pacchi postali transitati non solo in Italia ma anche in Grecia e Romania. Tramite vendite online sono giunte nelle Marche, a Senigallia, nella casa di un collezionista. L’operazione Atacama, avviata nel 2020 dai carabinieri in collaborazione con la polizia cilena e conclusa un anno dopo, è considerata la più grande indagine nell’ambito del traffico delle piante grasse. Ha portato alla denuncia di due persone e al sequestro delle piante. Per oltre 800 è stato possibile il ritorno in Cile. Il rimpatrio non si è avverato per tutti gli oltre mille esemplari per via delle condizioni precarie di più di duecento specie e degli alti costi della trasferta.

In ogni caso s’è fatta un’eccezione visto che di solito beni al centro di questi reati ambientali finiscono nei giardini botanici oppure nel modo peggiore, cioè distrutti. Ma la rarità alla fine è valsa a salvarli. Così 844 piante di Copiapoa sono tornate a casa, in Cile, nel luogo dove erano state estirpate. Sono state reintrodotte nel deserto di Atacama, che unisce la parte settentrionale del Cile al Perù meridionale, tra la catena andina con Puna de Atacama e la cordigliera affacciata sull’Oceano Pacifico. Altre 84 invece sono state affidate all’orto botanico dell’università di Milano per esigenze di studio e anche per averne cura. Circa cento, però, non sono sopravvissute un po’ perché malandate, un po’per i costi molto elevati legati alla spedizione di cui si è fatta carico un’ong ambientalista.

Tutte erano state strappate a uno dei posti tra i più aridi al mondo, dove non piove mai. Solo la nebbia riesce a farsi largo. Condizioni climatiche ideali per un ecosistema di importante pregio ambientale caratterizzato da piante selvatiche di grande fascino. Sono specie protette dalla Convenzione di Washington, in vigore dal 1975, firmata da 183 Paesi. L’accordo, meglio noto come Cites, protegge animali e piante in via di estinzione: 37 mila in tutto, di cui 30 mila specie vegetali. Fa parte del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e prevede divieti di commercio per alcune specie e un sistema articolato di certificati per le altre. In Italia a loro tutela c’è la legge 150 del 1992. Secondo gli esperti il 30 per cento delle oltre 1500 specie di piante grasse ora esistenti è a rischio di estinzione per colpa soprattutto dei raccoglitori di frodo.

Sul fenomeno è stato pubblicato di recente il primo studio, raccolto nel libro “Il traffico di specie protette. Prospettive critiche interdiscipliari”, edito da Franco Angeli. L’autrice, Anita Lavorgna, docente italiana di criminologia all’università di Southampton, in Inghilterra, è direttrice del progetto FloraGuard e per tre anni, dal 2018 al 2021, ha monitorato il mercato nero delle piante rare. Lo studio, finanziato dal Consiglio per la ricerca del Regno Unito, fa emergere una realtà ancora poco conosciuta. «Fare stime precise sul fenomeno è estremamente complicato, come sempre accade nello studio di fenomeni sommersi - spiega l’autrice della ricerca e del libro -. Sono però stati fatti alcuni studi che ci danno un’idea, se non altro, dell’ordine di grandezza del traffico di specie protette, che è ormai considerato tra i più proficui settori criminali del mondo, dopo il traffico di droga, di beni contraffatti e la tratta di esseri umani. È stato stimato che il suo valore complessivo, quindi considerando anche forme di traffico come, per esempio, quello di legname, vari dai 43 ai 195 miliardi di euro all’anno, valore che sale ulteriormente se si considerano le perdite di fatturato per i settori legali legati a questi commerci. Se ci focalizziamo invece solo sui traffici di flora e fauna, le stime parlano di un valore che varia dai 6 ai 20 miliardi di euro all’anno a livello globale». Il giro internazionale confida naturalmente su controlli insufficienti: una falla che,di fatto, concorre ad esporre a maggiore rischio la biodiversità del pianeta.​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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